È stata una iniziativa lodevole, quella promossa nei giorni scorsi dalla Gazzetta dello Sport, in chiave Giro. Davvero accattivante l’idea di indire un sondaggio fra 100 addetti ai lavori e “amatori doc” per scegliere, in base alla graduatoria realizzata fra i diversi pareri ai dieci quesiti posti, i momenti e le immagini, i gesti e gli atleti più memorabili della corsa rosa. Dal 1909 al 2012...
E realizzare così un decalogo scolpito, una tavola di valori. Ora e per sempre, - questo lo spunto iniziale degli amici della Gazzetta -, qualora si avverasse (o si fosse avverata, meglio) la profezia Maya, che vorrebbe termine di ogni nostra storia terrena, Giro compreso, il 21 dicembre 2012.
Bene, tralasciando tale dettaglio formale, è stato divertente partecipare a questo mini referendum, rispondere motu proprio alle dieci domande previste. E confrontarsi, dopo, con la classifica ufficiale esibita dalla “rosea”, fra grandi protagonisti ed eccelse imprese, rivalità e scatti fotografici impareggiabili. Vincono, nelle varie sezioni, alla rinfusa, l’arrivo del Giro a Trieste nel ’46, la Cuneo-Pinerolo del ’49, Fausto Coppi, il dualismo Coppi-Bartali su tutti, il Merckx delle Tre Cime di Lavaredo, il Pantani di Oropa, Fiorenzo Magni con la camera d’aria fra i denti a San Luca. Vince, come sorpresa, Carlo Clerici, una sorpresa ancora, dal 1954. Vince pure Mario Ferretti, e il suo “Un uomo solo al comando...”.
Tutto molto carino, anzi bello, in assoluto. Un divertimento di fine anno, uno scatenato effetto domino del Buon Ricordo, prima dell’anno nuovo che certamente verrà. Con tanto di Giro 2013.
Alcune riflessioni ci sovvengono, però, a posteriori, spontanee. E frutto, ovviamente, di quanto ogni rievocazione sia sempre condizionata gelosamente dalla memoria personale di chi la va a dettare. E come tutto diventi sempre implacabilmente parziale e soggettivo. Il Clerici ’54, bella sorpresa, ad esempio, certo. Ma chissà perché noi sulla pelle sentiamo sempre più clamorosa la effimera avventura di Wilfried Reybrouck, il Reybrouck meno importante e più giovane, lo sconosciuto in maglia Filcas, che indossò la maglia rosa il primo giorno, a Formia, nel Giro ’74: battendo allo sprint De Vlaeminck, Basso, Paolini e Sercu. E che due giorni dopo, con il Giro appena a Sorrento, incredibilmente, già stava a casa.
E il discorso, lontani dall’agonismo, diventa più intimo ancora, quando si tratti di rispondere alla questione “Qual è stato il più bel gesto di fair play?”. Sul territorio del sentimento puro, lì è ancora più facile sdrucciolare, di emozione in emozione. In classifica, ha vinto, diciamo, è arrivata prima nell’anima, la traversata amara del plotone da Quarto dei Mille a Livorno, nel Giro 2011, all’indomani della tragica scomparsa di Wouter Weylandt. Una solidarietà estrema, in onore dello sfortunato collega. Immagine forte. Il gruppo in punta di piedi, una meditazione, la corsa come la navata di una chiesa antica, lunga il percorso di una tappa intera.
Ma noi avremmo illuminato, chissà perché, una visione diversa. Avremmo proposto il flash e la storia di un uomo solo, lo spagnolo Antonio Menendez, che vinse - per delega del gruppo - la Terni-Gabicce Mare del Giro ’76, con una dozzina di minuti di vantaggio sul plotone. Menendez, delegato a vincere, in lacrime, per ricordare il compagno della Kas Juan Manuel Santisteban, morto a Catania, nella prima tappa di quel Giro.
Chissà perché, forse perché la solitudine continua ad affascinarci più della moltitudine, quell’arrivo di Menendez straordinariamente solo, in lacrime, non possiamo dimenticarlo. Anche per tutti i Giri che verranno e per tutti i sondaggi che a questo seguiranno.
(Ma grazie, in ogni caso, alla Gazzetta, per averci consentito di nominare ancora a degna ragione, anche per chi non li ha mai conosciuti, nemmeno in figurina, Wilfried Reybrouck ed Antonio Menendez).
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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