Gatti & Misfatti
Parla per te

di Cristiano Gatti

Parla per te, gran direttore di grande giornale, che hai orecchiato in giro lo slogan “tutti drogati, il ciclismo è finito, non interessa più a nessuno”. Hai il potere di decretare che questo sport è sparito e non merita più l’in­teresse sulle tue pagine, perché lo spazio va dedicato alle discipline emergenti, in pieno boom, come il golf, il poker, il rugby “ar Fla­mi­nio”, e ogni quattro anni le barche a vela dei mi­liardari annoiati. Can­cel­la il ciclismo, riducilo a una breve. Ne hai facoltà, decidi tu, comanda come meglio credi e tanti saluti alla si­gnora.

Parla per te, opinionista da trattoria, che strepiti e ber­ci sui tuoi canali semiclandestini di un primato assoluto e indiscusso del calcio, al grido sempre attuale “vale più un corner di Roccotelli che dieci Tour de France messi assieme”. Ti pa­gano per dirlo, ci credi ciecamente, non ti sei mai accorto che gli stadi sono vuoti e che le trasmissioni come Contro­cam­po e La domenica sportiva chiudono senza dare troppo nell’occhio, o restano vive alimentate artificialmente. Racconta ciò che vuoi e ciò che puoi, tu che chiedi quante tappe ha il Giro delle Fiandre e perché quest’anno il Giro d’Italia scalerà una montagna che non trovi sulla cartina, la Cima Cop­pi. Parla, continua a parlare, an­che perché il becerume come te ama molto il ge­nere ignoranza grassa e opinioni tan­to al chilo. Parla sempre a vanvera, non c’è problema, e tanti saluti al circolino.
Parla per te, yuppino fuori tempo massimo del mar­keting di riporto, con lau­rea al Cepu. Continua a raccontare in giro che il ciclismo non interessa più a nessuno, che non genera tendenza, che non smuove gruppi d’acquisto, che deprime l’immagine e soprattutto, wow, non ha appeal. Parla nei consigli di amministrazione che ti danno retta, parla alle agenzie pubblicitarie che decidono gli investimenti, parla alle quattro perticone ossute che ti ascoltano in­cantate all’happy hour. Parla a chi se la be­ve, a chi crede nel tuo genio stra­tegico, senza mai chiedersi do­ve diavolo tu abbia studiato e se ancora oggi parli dopo aver davvero studiato. Parla finchè ti danno retta: tutto sommato fai pure bene, perché se nessuno si accorge del tuo vuoto pneumatico hai tutto il diritto di far­ne soldi. Parla a cifre astruse e vocaboli inglesi, vendi fumo, sparale grosse e tanti saluti alla simpatica compagnia.

Parla per te, giornalista che non sa cosa significhi ri­bel­larsi e ripristinare un po­co di sana verità, almeno nelle redazioni. Parla pure dando sempre ragione a chi comanda, non ci provare nemmeno a confutare il luogo comune del ciclismo morto e superato. Parla e anzi supporta questa tesi, così da guadagnare subito un’al­tra posizione, un altro viaggio, un altro spazio da qualche altra parte, qualunque essa sia, e al diavolo il ci­clismo che ormai non fa più fare carriera a nessuno. Parla, verme op­portunista, parla, sgomita, avan­za, e tanti saluti alla dignità.

Sì, parlate per voi. Ma vorrei soltanto avvertirvi che ve la suonate e ve la cantate con le finestre oscurate e i tappi nelle orecchie. Là fuori, mentre voi andate avanti con il disco rotto del ciclismo morto, c’è tutto un mondo che si muove. Il ciclismo, per sua fortuna, non nasce e non muore nell’ombelico di quest’Italia cialtrona e con­formista, che non si chiede mai se i luoghi comuni abbiano davvero un fondo di verità, perché metterli in discussione e mettersi in di­scussione, andare controcorrente, aprire gli occhi richiede anche una certa fatica e qualche necessaria scomodità. Continuate pure a raccontavervela, ma là fuori, oltre le Alpi, al di là del mare, il ciclismo sta esplodendo come una pandemia benefica e salutare. Se­gnalano focolai inarrestabili nel continente australe, se­gnalano febbre alta in Cina e in In­dia, dove non si pedala più per pura povertà, ma anche per inedito pia­cere, segnalano contagi sempre più estesi nelle Americhe e nelle Rus­sie. Non c’è angolo del pianeta che non sia in qualche modo toccato dal travolgente fenomeno. Alle ultime Olimpiadi di Londra hanno dovuto mandare i militari sulle tribune di tanti pa­lazzetti, per riempire il penoso vuoto in mondovisione. Ma per la corsa ciclistica, tu pensa il caso, hanno contato due milioni di persone. Non esiste concerto, predicazione, tanto meno comizio politico capace di smuovere tante mol­titudini. E allora bisognerà ti­rare una conclusione: o il Regno Unito ha due milioni di soldati, oppure va riconosciuto ufficialmente che la bicicletta ha fatto boom persino lì, sull’Isola delle tradizioni più rigide e più antiche.

Grandi direttori, opinionisti da trattoria, vuoti yup­pini del marketing Cepu, giornalisti servi e opportunisti, e pure tanti diesse, tanti corridori, tanti addetti ai lavori che sembrano godere nell’autodemolizione: andate avanti così, continuate imperterriti a dire in giro che il ciclismo è morto. Però dev’essere molto chiaro, una vol­ta per tutte: la realtà, nel mondo, è ben diversa. Se volete, parlate a titolo personale. Parlate per voi. Io mi sono rotto di starvi a sentire.
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