C’è un mondo conosciuto che ci turba ancora, nello sport e nel ciclismo. Anche, se non ancora più, in queste ultime settimane che dall’agonismo maggiore hanno naturale distanza, se non nostalgia.
E sono le voci che da più palcoscenici, ed anche da ambiti totalmente differenti, si levano su questa problematica.
Voci roboanti che possono anche durare lo spazio e l’apertura di un quotidiano, certo, e nello specifico essere sommerse l’indomani, ma che pure incidono una traccia perdurante in chi sul doping e sui suoi aspetti molteplici ha dedicato impegno ed ingegno.
E allora non è possibile sottostimare una volta ancora, alla luce delle ultime pagine di cronaca, il distinguo che esiste nel doping tra sport e sport. Vogliamo dire meglio: tra ciclismo e calcio.
Bene - o male... -, l’autorevole Le Monde è appena stato condannato dal Tribunale Supremo Spagnolo a pagare una cifra, pur non esorbitante per il giornale più acclamato dell’universo, di 15.000 euro, per essersi permesso di accostare in due articoli il Barcellona calcio all’Operacion Puerto e a quel dottor Fuentes che ne era il fulcro, sulla base di “documenti confidenziali”. La cui veridicità, secondo la Cassazione spagnola che quantomeno ha ridotto di parecchio una iniziale sanzione di 300,000 euro, non sarebbe stata sufficientemente controllata dal giornalista.
Ma è altresì stridente che un paio di giorni dopo Oscar Pereiro, lo spagnolo che vinse il Tour 2006 per la squalifica di Floyd Landis e successivamente fu coinvolto in una “querelle” al salbutamolo, vada a stigmatizzare a voce piena, proprio in una trasmissione televisiva dedicata al calcio, la incredibile disparità di trattamento al riguardo tra calcio e ciclismo: se non un sacro timore reverenziale, anche nei media, verso il pianeta football. Facendo menzione di una “storica” positività al nandrolone per il guru Guardiola e di un trattamento di “ringiovanimento” del sangue cui si sarebbe sottoposto a suo tempo Zidane. «I ciclisti tutti dopati, e i calciatori tutti superdotati...».
Basta così, davvero ci viene voglia di smettere di leggere e descrivere la realtà di questo argomento, tanto ci feriscono tuttora queste VERITÀ che tali esistono per noi da sempre e per altri contano un giorno. E non hanno un giudizio terzo che non ci appaia di parte: pure i giudici, mica solo gli avvocati, difensori dei poteri più forti. E non sono rivendicabili.
Se non facendo nostro quanto ha osservato con lucida ironia - ancora su Le Monde, e non per caso, certamente - il tennista Yannick Noah. «Se gli spagnoli, da atleti prima normali, sono diventati oggi i dominatori in tutti gli sport, ebbene forse sarà perchè assumono davvero una pozione magica». Ed a questo punto, cari amici, la bevanda di Cagliostro o l’intruglio diabolico di Totò al Giro d’Italia, non è forse meglio liberalizzarli anche per gli altri, senza dolerci di coinvolgere il calcio? «Free doping», per lo sport professionistico. Come disse quindici anni fa, in una intervista a Titta Pasinetti che suonò provocatoria, do you remember?, un intenditore che di queste cose era testimone, e non martire: il dottor Michele Ferrari. Senza più gridare allo scandalo, ormai.
Noi ci teniamo per buono quanto emerso al recente Convegno di Faenza e ratificato dal p.m. Ettore Torri: «i ciclisti non sono più tutti dopati». È una verità umile. Ma utile. Per il futuro, purtroppo. E non per il presente che non ha avuto franca discontinuità - come in certa politica, d’altronde - con il passato. E continua a pagarne il dazio.
Ma non possiamo ovviamente rassegnarsi che sia questo - una riduzione dei suoi peccati - il valore del ciclismo, come sport e come fantasia.
Per fortuna che c’è ancora lo spirito di Marco Polo, a bordo del suo Cycling Team, a darne buon conto. Con la straordinaria interpretazione olandese di Gudo Kramer che ha annunciato che l’anno prossimo il suo Marco Polo Cycling Team, una formazione che ha fatto conoscere in ciclismo in Asia, con Dahlberg e Van Bon, l’anno prossimo cambierà continente. «Ormai la Cina e l’Asia il ciclismo lo hanno imparato bene, ci sono corse su corse, squadre su squadre...». Cominceranno ad esplorare l’Africa. Correndo con licenza etiope. Dalle falde del Kilimangiaro fino al Capo di Buona Speranza.
La bici, nel mese di Natale, è ancora un amore in più. (Non un peccato in meno).
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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