Eric - “Non Sono più un Ragazzo” -, era lì, contro il muro, lo stipite della parete.
Una mano, la destra, disperata, sugli occhi umidi. «Io, non sono più un ragazzo, capiscimi».
E “Cucciolo di Donna”, Carol, quella mano di uomo maturo, lui, uno scontroso ciclista del passato, gliela avrebbe dolcemente rimossa dagli occhi e dal viso, come medicasse una crocerossina una ferita di guerra. Senza sdrucire la pelle, senza lacerare il cuore, come nessuno, come nessuna aveva fatto mai con lui.
“Non Sono più un Ragazzo” - Eric - si sarebbe divincolato ed allontanato allora di scatto, nel mistero di una casa ancestrale e in un mondo che non conosceva il ritmo scandito di un orologio o di un cellulare, ma solo la musica - o il silenzio - di stagioni troppo remote.
E sarebbe ritornato con in mano un suo modesto prezioso trofeo, lui che di corse in verità non ne aveva vinte molte. E ne aveva perse tante, questo sì. Portava a “Cucciolo di Donna”, in fondo, con quel dono, il suo racconto prediletto. Era la maglia azzurra, i bordini rossi e gialli, sapessi come era stata bella e come tornava splendidamente luminosa ieri, la maglia azzurra della Panasonic.
Una maglia azzurra, di una tonalità intensa come gli azzurri del cielo boreale o del cielo innamorato, il bianco come un orizzonte di sfondo, che aveva indossato correndo con i nomi di Eric Breukink ed Eric Van Lancker, quando imperava Peter Post..
Sapessi come era miracolosamente bello intuire ancora nel suo profumo gentile di fiori, quel profumo perduto di giovinezza...
Consegnava a “Cucciolo di Donna”, gli occhi di lei lucidi di una straordinaria voglia di amore, di una tenerezza appassionata che quell’Eric superfluo non aveva conosciuto nei viaggi lunghi e nei letti brevi di una vita randagia, la sua maglia, il suo racconto prediletto.
«Troverai mai un posto dove nasconderla, Carol?». Ma non c’era da nascondere niente, nell’attesa di loro due. Chiunque fosse arrivato in un tempo venturo, sarebbe arrivato dopo l’eternità.
L’amore invadeva di un segreto assoluto la penombra di un pomeriggio e gli angoli discreti di una stanza. “Cucciolo di Donna” era un bacio infinito. Il suo bacio ultimo.
«Avrai un giorno un figlio a cui regalarla, con l’augurio che la indossi, questa?».
Ed il nome di lui - “Non Sono più un Ragazzo” -, Eric diciamo di cognome, andassero come sarebbero andati i rettilinei ignoti della vita, al di là dell’idillio magico del ciclismo, ambiva ad un giuramento di infinito.
Ed il nome di lei - “Cucciolo di Donna” - indossava per sempre l’abito immacolato finale di un Giro che non avrebbe mai conosciuto né il confronto - né tantomeno il crepuscolo - dell’indomani.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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