Dal Giro al Tour, portandoci appresso la stessa domanda: meglio percorsi meno duri e più tecnici, o meglio percorsi sempre più massacranti, fino all’estremo? È fin troppo evidente: in definitiva si tratta di confrontare due filosofie già perfettamente rappresentate nella pratica. Della prima specie - meno duri, più tecnici - è il Tour, della seconda - massacranti fino all’estremo - è il nostro Giro d’Italia.
Inutile star qui a disquisire, lo sappiamo tutti che entrambe le idee hanno ottimi pregi e inevitabili difetti. Che la perfezione sarebbe un equilibrio armonico, fino all’estasi. Ma la perfezione purtroppo non è di questo mondo, men che meno del ciclismo. Quindi, evitiamoci tutti i ma, i se, i però. Facciamola più spiccia: dovendo scegliere, cosa scegliamo?
Dopo le ultime esperienze, io non ho più dubbi: scelgo il Giro. Non c’è confronto. Come dimenticare quelle decine di tappe francesi, noiose come le tasse, in attesa della prima salita, neanche tanto ripida. Come dimenticare che il Tour spaccia ancora per salitoni gli Aspin e i Tourmalet, che persino le pettinatrici ormai scalerebbero spettegolando sulla regina Elisabetta. No, nessuna remora: tutta la vita il Giro, con le sue pendenze vertiginose, con i suoi Mortiroli e i suoi Zoncolan, con i suoi tapponi dolomitici in rapida successione, sì, persino con le sue strade bianche e con i suoi sterrati a Plan de Corones o sul Colle delle Finestre. Tra l’altro, sono in beata compagnia: i dati televisivi e le folle accatastate sul posto dicono chiaramente che questo vuole il pubblico, che questo adora il pubblico.
Mi rendo conto che il discorso non è così facile. Che nasconde alcuni rischi enormi. Si fa presto a dire massacro, tapponi epici, pendenze carogna e discese killer. Il rischio di sfociare nella perversione macabra, nella folle corsa all’esagerazione, nell’eccesso da circo equeste, è innegabile e molto alto. Il nostro patron Zomegnan, che decisamente e giustamente ha puntato sul prestigioso marchio della “Corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”, viaggia spesso sul filo del rasoio. Ai confini della realtà. La sua sete di spettacolo, meritoria e valorosa, può però portarlo qualche volta al sadismo più sadico. Non a caso, ogni tre per due dal gruppo e dalle ammiraglie si leva il lamento di chi va poi per strada: patron, dobbiamo anche scaricare Tir di mobili e vuotare betoniere nei cantieri?
Noi degustatori di spettacolo siamo in mezzo ai due opposti. Da una parte il creativo dell’estremo, dall’altra i realisti del palcoscenico. Zomegnan scova strade bianche e discese del Crostis, inanella colli alpini come patatine all’aperitivo. Corridori e diesse dall’altra parte faticano a subire: questo è un Giro, corsa su strada, se voglio gareggiare nella ghiaia o tra le pietre faccio la “Strade bianche” o la “Roubaix”. E comunque, non è che per divertire la platea mi butti giù dal Crostis senza ammiraglie al seguito: non posso perdere un Giro per uno stupido incidente meccanico, non posso buttare tutto alle ortiche per il tuo insano gusto di trattarci da giullari.
Èdi un’ovvietà sconsolante: si tratta di darci tutti qualche limite. Chi pone questo limite? Naturalmente il buonsenso. Sembra banale, ma non lo è. Ciascuno ha un suo personalissimo coefficiente di buonsenso. Quello di Zomegnan, deve ammetterlo, è abbastanza estremista. Quello di corridori e diesse, devono ammetterlo, è abbastanza prudenziale e impiegatizio. Come uscirne? L’unica strada possibile è il confronto. Gli Zomegnan devono continuare a inventarsi numeri epici, ma devono avere l’accortezza di prepararli bene, ascoltando prima di tutto gli attori, cercando di rassicurarli con tutti gli accorgimenti necessari. Quanto a loro, agli attori, devono accettare l’idea che il ciclismo non possa più sperare in uno scatto di popolarità con spettacoli banalotti e tendenzialmente fiacchi, anche se perfetti in chiave tecnica. Serve uno sforzo comune, ciascuno deve imparare ad ascoltare, prima ancora di parlare. Però, per pietà, non barcolliamo sulla scelta di fondo. Viva il campionato del mondo di fatica, di coraggio, di spettacolo. Viva il Giro d’Italia. Di grandi giri barbosi ne basta uno, il Tour.
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