Scripta manent
La Roubaix e un telefono per Ballerini

di Gian Paolo Porreca

Le domeniche di aprile, la domenica delle Pal­me o la domenica di Pasqua proprio, la Roubaix ce la siamo sempre portata dietro. Al seguito.
Le domeniche di primavera già alta, la frenesia delle cor­se in campagna o al paese, la gita con gli amici o i parenti, avevano per noi sempre un cardine di domanda: ci sarà però un televisore, ad Ischia o a Sessa Aurunca, a Teano o a Sorrento, dovunque si vada a parare, si tratti pure di un Bar dello Sport, su cui io mi possa vedere la Roubaix?
È stato così, già dalla sog­gezione di una prima volta, in bianco e nero, un Radio­ma­relli da entrarci dentro con il viso intero, tanto lo schermo era ridotto. Anno 1960, sembra ieri, a casa del nonno Giacomo, a Sessa, la Grande Famiglia riunita, un nonno di cuore che non tol­le­rava però che si vedesse la TV ad ora di pranzo, e noi ragazzini a sgaiattolare sotto il tavolo ed a chiederci come fosse mai possibile che Pino Cerami e Tino Sabbadini, il primo e il secondo di quella edizione, con quei loro bei rotondi cognomi italiani, fossero davvero stranieri. La Roubaix, la Pascal, la corsa di Pasqua, o giù di lì. Una corsa sacra. Sospesa fra il San Giuseppe della Sanremo e il maggio prossimo del Gi­ro.
Strano, non abbiamo im­ma­gini in archivio di Gimondi, ma ci restano un Rosiers in maglia Bic, con un Basso ter­zo e inviperito, nel ’71 e il mi­racolo di De Meyer, in una volata che non finiva mai su De Vlaeminck, Moser e Kuiper, nel ’76. Ci resta l’epopea sontuosa di Fran­ce­sco Moser, che invadeva il video, per tre edizioni con­se­cutive, con i suoi capelli mos­si dal vento: la prima Roubaix, nel ’78, in maglia di campione del mondo, la terza, nel 1980, vestito da campione d'Italia...

E ci da emozione an­co­ra la corsa di Jan Raas, nel 1982, noi che quella volta stavamo di guardia in Ospedale, e nel momento clou, quando Raas dopo l’affondo cruciale ave­va ancora Mutter in scia, la telefonata improvvida del capo che voleva notizie fresche del giorno... E quella di Kuiper, il più vecchio in corsa, nel 1983, lo straor­di­nario eroe del giorno, in fuga da solo, che rompe un tu­bo­lare a pochi chilometri dal traguardo, ed è lì ancora, che grida la sua disperazione, brandendo la ruota rotta... O Talen che tira i freni, da mer­cante di strada, dietro Ma­diot, nel ’91, e stoppa, come fosse un paracarro, l’inse­gui­mento di un primo Balle­rini...
E con Ballerini, con Franco Ballerini, la nostra Roubaix da lontano diventò ancora più vicina. La volata spasmodica con Duclos Lassalle, nel ’93, la ascoltammo soltanto, perché la Tv, nella grande ca­sa ancestrale dei nostri ami­ci di Tora, d’improvviso andò in tilt. E non ci fu ver­so, ad onta dei pugni sulla cassa, antico empirico rimedio, di ripristinare il video. No, solo audio, e la disperazione di De Zan.

Ma con Franco, le nostre esigenze sa­rebbero un gior­no diventate ancora mag­giori. Per Franco, un giorno, alle no­stre domeniche di Pas­sio­ne, non sarebbe più stato sufficiente la televisione. Ave­vamo cominciato a scri­vere stabilmente per Il Mat­tino, nel ’93. E quella do­me­nica lì, il 9 aprile 1995, ap­pe­na il ciclista in maglia Mapei lasciò ad un angolo di storia il grande Vanderaerden ed Ekimov, con Tafi, Bortolami e Museeuw a proteggerlo, iniziò la ricerca del telefono. Guasto il telefono di casa de­gli amici, niente telefoni pubblici in zona, e mica c’e­ra­no i brillanti cellulari di oggi che coprivano il mon­do... Un telefono, da­te­mi un telefono, di gra­zia, co­me fossi Kuiper ad implorare quella ruota... Un telefono per Ballerini...Devo scrivere, anzi cantare, Balle­rini...

Ed oggi, Franco, ’sta vita diversa, ringrazio te, e rin­grazio anche per te, l’ospi­talità di un an­tico medico condotto di Roccamonfina, a cui in­ter­ruppi la giusta siesta. È l’ultima emozione che ci resta viva della Roubaix, sarà che il cuore cambia, e non si rifà perché non c’è più amo­re di scorta, ed è to­tal­mente tua. Oggi, più di allora. E stavolta va ce­le­brata, come un rito di Resur­rezione. Bal­la balla Ballerini. Così ma­gico e così lieve, lui, quel po­meriggio e per sempre.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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