Penso che mia sia piovuta addosso una straordinaria fortuna, di tipo anche giornalistico, e, come faccio da ormai ben più di mezzo secolo di lavoro, di mestiere, approfittando della tanta pazienza di pochi lettori, mi sgravo un poco, psicologicamente, partecipandola per come e quanto ci riesco. Perché si tratta di una bella cosa da raccontare e anche, in chiave personale, da fare.
Dunque: il 7 maggio, vigilia della partenza (in Olanda, uffa) del Giro d’Italia, verrà inaugurata a Novi Ligure, il terzo “posto sacro” del grande Fausto (Novi dove visse: Castellania dove nacque e Tortona dove morì gli altri due), la città del Museo dei Campionissimi (Lui e l’Altro, cioè Coppi e Girardengo, per tacita intesa di massa gli unici a poter essere chiamati così, un po’ come nel calcio il Grande Torino di Valentino Mazzola e la sua banda meravigliosa e tragica, quella finita nel 1949 a Superga, e – ma su scala minore, anche emotivamente - la Grande Inter, quella di Herrera, Moratti padre, Allodi, Sandro Mazzola, Corso, Suarez, e che pure Mourinho si inchini o almeno si inclini...), il 7 maggio dicevo anzi scrivevo verrà aperta una mostra speciale per i cinquant’anni dalla morte dello stesso Coppi: i locali quelli del Museo, la bella concomitanza quella vicinissima del 13 maggio, il giorno in cui, da Novara, arriverà appunto a Novi, e di fronte proprio al Museo, una tappa del Giro d’Italia in Italia tornato. Per non so quale contorsione del caro destino ho vinto un altro premio di una lotteria della vita di cui ho comprato tanti biglietti lavorando durissimamente e lunghissimamente, più meritevole magari di chi biglietti non ne compra mai però sempre si lamenta perché nessun sorteggio lo premia, senz’altro più fortunato di chi di biglietti ne compra tanti, come e più di me, ma non vince mai. Il premio è consistito nell’affidamento a me dei lavori, diciamo scritti: sì, proprio lo “scrivere” la mostra, evento dopo evento ergo pannello dopo pannello, situazione su situazione, riflessione su riflessione. In chiave, ovviamente coppiana, e destinata questa chiave ad “aprire” e a connotare ulteriormente il Museo,anche quando in autunno la mostra sarà teoricamente conclusa..
È stato un lavoro bellissimo, benedetto dal sindaco di Novi, Lorenzo Robbiano, favorito dalla collaborazione con la capessa del Museo, Chiara Vignola, che sempre sia lodata, e i suoi collaboratori, per me poi accompagnato dal sodalizio, prima per un libro con lei e Andrea Bartali, ovviamente sui Padri, e adesso per la pratica dell’amicizia, con la grande Marina Coppi (Faustino anzi ormai Fausto già stava bene, e da tempo, nella mia vita giornalistica).
Un lavoro bellissimo benché io fossi reduce da tante emotivamente stancanti celebrazioni coppiane (e in procinto di spostarmi su quella bartaliane: il 5 maggio per noi del ciclismo è il giorno della morte di Gino, non di quella di Napoleone o di una certa Inter “uccisa” a Roma dalla Lazio quando già si era sbronzata di scudetto vicinissimo). Anzi un lavoro bellissimo proprio perché ormai per me Fausto è diventato personaggio bene palpabile, quasi quasi direi affettuosissimamente pomiciabile, con una costante crescita di affetto, di nostalgia, di rimpianto per un campione che ebbi l’onore, il piacere e anche il vantaggio di conoscere agli albori del mio lungo viaggio nel ciclismo (parlo della primavera del 1959), un uomo che con la sua morte mi diede l’occasione di un reportage terribile e tristissimo, ma decisivo per la mia vicenda giornalistica, quella di un giovine di studio a Tuttosport, per tanto troppo tempo abusivo, precario e anche più cioè meno.
Un lavoro bellissimo, di sintesi si capisce, perché nessuno legge frasi troppo lunghe, pannelli troppo densi di parole, diluizioni troppo presuntuose di idee, di pareri, di storie. Ma anche un lavoro di estensione di quelle che spero siano percezioni esatte, intuizioni nuove, soprattutto collocazioni particolari, a costo di non essere ortodosse, anzi spesso cercando di non essere ortodosse senza però diventare gaglioffamente eretiche. Per esemplificare dico subito che ho fatto spazio a Coppi uomo, con anche la sua vicenda sentimentale. In altre parole pure la Dama Bianca sta nella mostra, e il Coppi davanti ai giudici, per una querelle che incise sul nostro codice penale, felicemente sgrezzandolo, ci sta da adultero, non da idolo della folla.
Preciso subito che il Campionissimo non patisce nulla dalla sua umanizzazione, anzi. Viene semplicemente avvicinato a noi, però si muove sempre sul suo piedistallo unico di gloria. Molto umano ma intanto sempre mitico: lo sport si concede queste magie, che non sono miracoli, sono logiche iterate del suo mondo appunto costantemente magico, un mondo che di un atleta grande ci fa spartire le gioie e i dolori, i calli e le ascensioni a tutti i cieli più belli, i ruggiti di leone trionfante e i bramiti di cervo ferito.
A questo punto dovrei anche dire se la mostra è bella o interessante, ma sono parte in causa. Se soltanto vederla, viverla piace al visitatore un millesimo di quel che a me è piaciuto idearla, proporla e realizzarla per la mia parte di lavoro, vado sul sicuro presentandola anzi offrendola. Ma al di là del cosiddetto eventuale successo penso che sia importante che certe iniziative vengano assunte, che certe cose vengano fatte. Nel porco mondo attuale esiste persino il rischio che, semplicemente facendo una cosa non venale non oscena non sporca non opportunistica non cortigiana non schiava, si finisca per compiere un’operazione etica.
Non solo grazie al vento del plotone del Giro che arriva davanti al Museo, si respira a Novi un’aria pulita e bella, che scende dalle colline di Coppi. Speriamo di essere capaci di respirarla, la mostra serve anche per inalazioni affettuosamente coatte. Lo sport di vetrina ormai ammolla afrori che sanno di troppo denaro, di emozioni forti, e pazienza (pazienzaaaaa???!!!) se sinistre, di estremo protervo travestito da ricerca del limite umano. Fausto Coppi vinse tutto contro tutti, ma anche quando pedalava fra nevi ostili, sul pavé spaccaossa, fra tutte le polveri del mondo sembrava in Arcadia.
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