Editoriale
D’HONT NON TONT. Uno dopo l’altro, stanno confessando tutti: prima i medici, poi i corridori più o meno noti. E lo scandalo Telekom si allarga al punto da diventare un doping di squadra. Il paradosso è che queste confessioni finiranno con l’aiutare l’unico atleta che attualmente è sotto indagine, vale a dire Jan Ullrich, accusato di truffa ai danni della Telekom stessa.
Spiega infatti Britta Bannenberg, l’esperta di lotta contro la corruzione che è firmataria della denuncia: «Tutta la Telekom è ormai screditata e non appare credibile puntare l’indice solo contro Ullrich. Non si può più parlare di truffa di un dipendente quando è chiaro che i vertici della società erano coinvolti nella truffa e nei traffici di doping».
Bisognerà ora vedere quale sarà la decisione del Tribunale di Bonn che è titolare dell'inchiesta e che solo qualche settimana fa aveva giudicato “interessanti” le novità emerse con la confessione dei due medici della formazione tedesca.
Interessanti perché interessavano tante persone. Interessanti perché coinvolgono molto probabilmente non solo corridori, non solo massaggiatori, non solo meccanici, ma anche i dirigenti di ieri e di oggi, a capo del team teutonico. Domanda: come fa il Tour de France ad accettare e invitare a cuor leggero l’Astana, che in pratica è diventata la succursale della Telekom? Come fanno i francesi a pensare che Vinokourov, Kloden e compagni, oltre a Godefroot (oggi consigliere tecnico del team kazako) e per anni padre padrone del team capitanato di Ullrich, non centrino nulla con la vicenda Telekom?
Intanto Lothar Heinrich, Andreas Schmid e Georg Huber, i medici della Telekom hanno perso il loro posto di lavoro, sia all’interno del team che come docenti presso l’Università di Friburgo, e di certo non sono lì a guardare inermi con le mani in mano. Di cose ne hanno fatte, ma di sicuro ne hanno anche viste e in questi anni hanno anche preso nota e tenuto da parte. Di cose da raccontare ne hanno davvero molte: non è una coincidenza che così, di punto in bianco, a Riis, Zabel e compagnia, sia tornata di colpo la memoria e abbiano avuto tutti un liberatorio desiderio di parlare: un vero e proprio sussulto di coscienza.
D’Hont, il massaggiatore belga della Telekom, ha parlato e scritto un libro su indicazione di qualcuno. Tante cose stanno accadendo, molte altre ne accadranno, tutte a beneficio di Jan Ullrich che non ha più nulla da perdere, ma a questo punto solo da guadagnare. Grazie a dei medici e ad un massaggiatore attento e zelante. Di nome fa D’Hont, non Tont.

TOLLERANZA ZERO. Della giustizia giusta ne parla laggiù, nella sua rubrica, Cristiano Gatti. Di quello che sarebbe giusto e auspicabile fare lo diciamo qui a margine, in poche righe. È necessario favorire i pentimenti e agevolare i pentiti, per far pagare a tutti le loro colpe e far espiare a tutti - nessuno escluso - le proprie pene. Non un colpo di spugna, ma pene eque. Un anno? Per chi parla, per chi collabora speriamo e auspichiamo una pena più lieve dei due anni. Poi punto e a capo. Non come prima, non con il buonismo o l’iniquità che da troppo tempo contraddistinguono le istituzioni, ma mettendo sul tavolo un rigore esemplare: unico. Siamo in uno stato di emergenza? Bene, agiamo come si deve agire in un clima di emergenza: con regolamenti esemplari. Chi sgarra una seconda volta, dopo aver ammesso le proprie responsabilità e aver espiato le proprie colpe, venga radiato. Senza se e senza ma. Spazzato via, definitivamente. Sia Basso o Ullrich, sia Scarponi o chi volete voi. Tutti devono pagare e tutti devono sapere che non c’è più spazio per la ricreazione. Al diavolo i codici etici e altre amenità di questo tipo: chi sbaglia deve cambiare mestiere. Fuori dal ciclismo, una volta per tutte. Ma prima fuori i nomi, fuori la verità: li vogliamo guardare in faccia. Vogliamo vedere i loro occhi pieni d’imbarazzo. Almeno per un’ultima volta.

VIVA TUTTI. È stato un gran bel Giro, anche se la sigla è stata quella di Paolo Conte, da latte alle ginocchia, da «Operacion Puerto», non da grande festa di popolo che ama cantare, ballare, fischiettare le note lievi e disimpegnate di Paolo Belli. È stato un gran bel Giro perché il Giro è grande, ed è anche più bello, più giovane, più al passo con i tempi. È stato un bel Giro senza un nome e un cognome, senza l’identificazione forte di un protagonista. È stato certamente il Giro di Danilo Di Luca, ma questo Giro è stato bello a prescindere. Danilo e la sua Liquigas sono stati la classica ciliegina sulla torta, il bello che ci voleva, per un Giro piacevole e disegnato bene, organizzato meglio e corso ancora di più. È stato il Giro degli sportivi sulle strade, degli appassionati appiccicati alla televisione, che hanno fanno impallidire Luna Rossa, tingendo i pomeriggi di rosa. È stato il Giro a ridare fiato e ossigeno al ciclismo, non viceversa. Perché il Giro non sarà il Tour, ma ci si è avvicinato un po’ di più, con la sua carovana pubblicitaria, con i suoi ragazzi festanti sulle strade. È stato un bel Giro, senza tante fazioni, senza tanti faziosi, privo di schieramenti e barriere, ma con un semplice e sempre verde «Viva tutti», che per una volta non aveva il gusto dello sfottò e nemmeno è parso essere un po’ retrò.
Pier Augusto Stagi
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