A chi si fa tornare in mente, con invidia magari, le feste calcistiche di questa estate, pensiamo sia doveroso ricordare come erano, una volta, le feste ciclistiche, quando Bartali e Coppi erano i re d’Italia, la bicicletta era la regina, le gesta di quelli del pedale riuscivano a sovrapporsi persino ad una rabbia che poteva far esplodere una guerra civile (1948, attentato a Togliatti, disordini gravissimi, grandi vittorie in serie di Bartali al Tour, passionalità italica spostata in quei giorni anche sulle cose ciclistiche: Bartali in maglia gialla non salvò la patria, lui stesso mai accettò questo ruolo, ma a qualcosa servì, qualcosa di importante fece).
Mi rendo conto che narro storie incredibili. Nessuno può pensare che nell’Italia degli ultimi anni quaranta e dei primi anni cinquanta una semplice trasmissione alla radio, senza collegamenti speciali, personaggi specialissimi, trovate brillanti o gaglioffe, portasse la gente ad assemblarsi dove c’era un diffusore che spargeva in giro la voce di Mario Ferretti radiocronista dal Giro, o portasse gli impiegati di un ufficio a designare quello di loro che, con la complicità degli altri, si sarebbe assentato dal lavoro per andare a sentire clandestinamente la radiocronaca dell’arrivo, e poi sarebbe tornato dentro a raccontare tutto ai colleghi.
Nessuno adesso può pensare che a Milano uscivano tre giornali del pomeriggio, La Notte e Il Corriere Lombardo e Il Corriere d’Informazione, giustificati come impresa editoriale per due ragioni: recavano gli elenchi delle proiezioni cinematografiche e di un po’ tutti gli appuntamenti offerti dal mondo dello spettacolo, trascurati dai giornali del mattino, per un’Italia che riscopriva il divertimento, e recavano soprattutto il reportage sulla tappa finita da poco del Giro d’Italia, con un bel po’ di ordine d’arrivo. Qualche volta gli stessi giornali uscivano prima dell’arrivo con una e anche due edizioni speciali per ragguagliare sull’andamento della vicenda agonistica in corso.
Nessuno può pensare che le tirature dei quotidiani sportivi salissero allora e di molto per merito del Giro e di un po’ di tutte le corse ciclistiche, che fossero gli eventi del mondo della bicicletta a far decidere, all’interno dei quotidiani politici, il potenziamento delle redazioni sportive. Nessuno può pensare che nelle stesse redazioni i giovani giornalisti di belle speranze si battessero per seguire il ciclismo, e non invece il calcio, e che i vecchi non mollassero le loro posizioni, il loro stare davvero sempre in sella al grande evento.
Nessuno dovrebbe poter pensare che tutto questo sia finito.
D’altronde ai nostri giorni nessuno può pensare che ci siano migliaia e migliaia di persone che sacrificano ferie, tempo libero, denaro, comodità assortite, e usino anche fiato e sudore per andare su una lontana montagna, passare magari una notte in tenda, mangiare paninacci, aspettare che arrivino i corridori ciclisti, vederli per un attimo, porsi subito il problema di come tornar giù, tornare a casa senza spendere troppe altre ore di vita.
Nessuno può pensare che il più grande stadio del mondo sia quello di ogni anno, il giorno del Tour de France se il Tour de France passa lì, all’Alpe d’Huez, con decine di migliaia di biciclette da cicloamatori, quasi tutte di pregio, sofisticate, sdraiate su immensi prati. Mentre i loro proprietari, che sono giunti sin lì pedalando, si sottomettono anche loro al rito di adorare per pochi secondi i ciclisti che passano stravolti dalla fatica.
Nessuno può pensare che nella Germania che divora calcio quando passa una qualsiasi corsa ciclistica ci sono centinaia di migliaia di persone ai bordi delle strade, mentre magari una grande classica belga richiama pochi gatti sulle strade peraltro celebratissime delle Fiandre.
Nessuno in Italia almeno può pensare che se da una corsa a tappe vengono esclusi alla vigilia quasi tutti i ciclisti favoriti dal pronostico, compreso quello che ha vinto pochi giorni prima il Giro d’Italia e che è attesissimo da un po’ tutti, e nonostante questa falcidia dovuta ad una lontana inchiesta sul doping non c’è nessuna possibilità per corridori della nazione che ospita questa gara di vincerla, e sono ventun anni che quella gente non festeggia il successo finale di uno dei suoi, se tutto questo accade c’è però intorno alla corsa festa, c’è entusiasmo, e tutti i giorni si passa e si arriva in posti affollatissimi (sempre di gente che vede passare i ciclisti per pochi secondi e amen). È il caso del Tour de France 2006, che per noi si è disputato sulla Luna.
Insomma fra cosa non si arriva a pensare e cosa non si può pensare, il ciclismo si ammanta di problemi, di misteri.
Su tutti i misteri del doping. Non c’è sport che si conceda come e quanto il ciclismo alle devastazioni, vere o presunte, del mostro chiamato doping, anche quest’anno con la solita dose di scoperte balorde di remissività dei colpevoli e degli innocenti, e però non c’è sport che possa contare su un amore (amore, attenzione, non passione) come quello che ancora esiste per il ciclismo.
In altre parole: io non ci capisco più niente, e voi?
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