I sogni di Antonio Tiberi

di Giulia De Maio

Nel 2024 ha realizzato il sogno che aveva da bambino, vestire una maglia di leader al Giro d’Italia. Per ora è quella bianca, che fa bella mostra di sé in un quadro sia nel suo appartamento a San Marino che nella grande casa di campagna dei genitori a Gavignano, al confine tra la Cio­ciaria e la bassa provincia romana, do­ve ha trascorso le feste. Antonio Ti­beri nell’anno che abbiamo appena salutato è risultato il miglior giovane della corsa rosa, confermandosi la speranza italiana più fulgida che abbiamo per le corse a tappe. 
Campione del mondo juniores a cronometro nel 2019, il laziale è entrato subito nel mirino dei team professionistici perché un az­zurro forte contro il tem­po e in salita è merce rara. Nell’inverno 2022 rischiò però reputazione e carriera per un fattaccio di cronaca (sparò con un fucile ad aria compressa dalla finestra di casa al gatto del vice primo ministro dello stato in cui risiede come tanti altri colleghi, ndr). Troppo per l’etica dell’americana Trek che prima lo sospese, poi licenziò. Tiberi non è un bullo incosciente: capì l’enormità del gesto, fece sincera ammenda au­to­imponendosi lavori sociali in un canile e sopportando valanghe di insulti in rete. E così una Bahrain in cerca di leader a metà del 2023 decise di dargli una seconda possibilità, occasione che Antonio sta sfruttando al meglio e promette di tramutare in risultati sempre più soddisfacenti. 
Nel 2025 punta a migliorarsi ulteriormente, soprattutto al Giro d’Italia, che resta l’appuntamento clou della stagione. L’ultimo italiano a vestire la maglia rosa è stato Alessandro De Marchi alle Grotte di Frasassi il 13 maggio 2021, l’ultimo vincitore della classifica generale Vincenzo Nibali nel 2016. Com­pagni e direttori sportivi dicono che Antonio Tiberi assomigli molto allo Squalo, che ai nostri microfoni lo ha identificato in più occasioni come suo possibile erede. L’Italia punta su questo puledro di razza, che recentemente ha scoperto la passione per i cavalli, per spezzare questo digiuno nelle corse a tappe che inizia a farsi davvero indigesto.
Antonio se siamo qui ad intervistarti per il primo numero di tuttoBICI del nuovo anno è perché ci aspettiamo tanto da te. 
«Eh, la speranza di riportare la maglia rosa in Italia ce l’ho anche io dentro di me. Vorrebbe dire concretizzare un altro sogno e sinceramente sto lavorando per questo, anche se dal quinto posto al primo gradino del podio c’è ancora parecchia strada. Gli avversari con cui mi confronto sono molto forti ma le sensazioni di come risponde il mio corpo agli allenamenti sono positive. Di anno in anno sto vivendo un mi­glioramento continuo e, se tutto andrà bene, il tempo è dalla mia. Avrò bisogno di ancora 2-3 anni, di concentrarmi ancora di più su tanti aspetti sui quali si può “limare” ancora qualcosa e pen­so di poter crescere ancora del 20-30% rispetto all’atleta che sono oggi. Nel 2025 il mio calendario sarà molto simile a quello dell’anno scorso. Forse disputerò qualche gara in meno per concentrarmi ancora meglio sulla preparazione, ma il Giro d’Italia sarà il grande obiettivo cerchiato di rosso».
Questo inverno quanto sei stato senza bici? 
«Ho trascorso tre settimane completamente off, ma non ho raggiunto nessuna meta esotica. Vacanza per me vuol dire stare a casa, con la famiglia. Di ae­rei e viaggi lontano dalle persone care ne ho abbastanza durante il periodo agonistico. Mi sono rilassato svolgendo camminate in montagna e mi sono innamorato delle passeggiate a cavallo. La prima volta ho provato presso un maneggio, poi ho cavalcato quello di un parente e ora mi frulla in mente l’idea di comprarne uno tutto per me. A casa abbiamo spazio ed esperienza con gli animali, papà Paolo aveva un’azienda agricola con un centinaio di mucche, ora si gode la pensione ma potrebbe prendersene cura per me mentre io sono alle gare, come fa già con galline, cani e gatti, insieme a mam­ma Nadia, che invece è ancora im­pegnata con il lavoro da infermiera in ospedale».
Quanti chili hai messo su? 
«La prima volta che mi sono pesato dopo due settimane di stop ero 1,5 kg sotto il peso forma. Quando mi fermo non tendo ad ingrassare, anzi calo perché perdo massa muscolare. Certo, a livello calorico le feste sono impegnative, soprattutto al centro-sud, e io le ho onorate come è giusto che fosse. Ho mangiato salsiccia e lenticchie e i cannelloni di carne di nonna Maria, che prima che partissi per il ritiro di dicembre stava già imbustando e surgelando teglie intere. Mi sono divertito con i classici giochi da tavolo e il tradizionale scambio dei regali. Quello appena trascorso è il periodo più bello dell’anno per me perché ho l’occasione di sta­re insieme a tutta la mia famiglia, zii e cugini compresi che tra vari impegni di lavoro e il fatto che mi sia trasferito non riesco a vedere mai».
Avrai avuto anche più tempo per Chiara, la tua compagna. 
«Sì, ci siamo conosciuti a Livigno nel 2018 quando io ero lì in ritiro con la Nazionale prima dei Mondiali di Inn­sbruck e lei con il suo team di triathlon. Tra le due squadre abbiamo fatto comunella, ma a parte qualche chiacchiera e partita a carte non c’era stato di più finché l’anno dopo, quando passai alla Colpack e quindi ero di base a Bergamo, è iniziata una frequentazione più assidua. Lei è originaria di Lecco e spesso chiedevo al mio compagno Gi­das Umbri di prestarmi la macchina per andarla a trovare. Dopo qualche anno ha smesso con il triathlon, per una stagione si è data all’atletica, correva i 400 e 800 metri, poi ha vinto il concorso per entrare in guardia di finanza e ora lavora al porto di Genova. Nel pe­riodo di scarico sono stato parecchio da lei e siamo andati anche a visitare l’acquario. La città in cui vive per andare in bici è un casino quindi di solito è lei che si sposta da me, ma es­­sendo più libero a novembre ne ho approfittato».
In stagione invece cosa ti aiuta a “staccare” mentalmente? 
«Gioco alla playstation, principalmente a Fortnite, con alcuni amici della Toscana con cui sono rimasto in contatto da quando correvo lì da junior alla Franco Ballerini. Alla sera ci colleghiamo e ci di­vertiamo così, ognuno da dove si trova. Ci sono periodi in cui gioco di più e vado meglio, altre volte in cui invece sono così scarso che “salto di testa” (ride, ndr). Quando so­no a San Ma­rino mi viene a trovare spesso Deep, un compagno delle superiori di origine indiana che studia Ingegneria aerospaziale a Forlì. Siamo buoni amici anche se io, a differenza sua, alla scuola ho sempre preferito la bici. Mi sono limitato al diploma di meccanico che ho nel cassetto».
Dicono che sei uno che non patisce lo stress. Ti è mai capitato il pisolino pre tappa come a Nibali?
«Certo. Quando si arriva alla seconda settimana la stanchezza del corpo inizia a farsi sentire così dormire sul bus prima della tappa è quasi la regola. In generale anche prima degli appuntamenti più importanti riesco a stare tranquillo, ascoltando un po’ di musica o leggendo un libro. Quest’ultima passione l’ho scoperta da un anno e mez­zo, leggo soprattutto quando sono in aereo o nei tempi morti in ritiro. Ac­quisto soprattutto libri che mi possono insegnare qualcosa, non romanzi o storie fantasiose. Recentemente mi è piaciuto molto Niente può fermarti dell’ex marine David Goggins, un ragazzo che aveva vissuto tante difficoltà e sembrava non riuscire a concludere nul­la nella sua vita finché sfruttando il suo potenziale è diventato uno de­gli uomini più mentalizzati e forti d’America. I limiti che ci poniamo arrivano solo dalla nostra mente».
Quanto pensi incida la testa sulla performance di un ciclista? 
«Tanto. In squadra non abbiamo uno psicologo, ma mi piacerebbe proporre l’inserimento di questa fi­gura. Secondo me lavorare sulla componente mentale può fare davvero la differenza, soprattutto per come si sta evolvendo il nostro sport negli ultimi anni. È uno degli aspetti a cui si darà sempre più peso. La mia preparazione sta procedendo per il meglio, ho iniziato a pedalare più tardi del solito perché ho finito la stagione scorsa tardi. Dopo Il Lombardia ho tenuto duro altre due settimane per il Taiwan KOM Chal­lan­ge, un evento di Merida che si è svolto il 25 ottobre. Ho ripreso a pedalare attorno al 20 novembre e nelle due settimane di ritiro ad Altea, in Spagna, a dicembre ho messo nelle gambe un po’ di chilometri, accumulato quel volume a basso ritmo che è la base per poi svolgere lavori a ritmi più alti. Dall’Epifania tornerò in Spagna con la squadra per svolgere un altro training camp di due settimane. Il de­butto in gara è previsto alla Volta ao Algarve in Portogallo dal 19 al 23 febbraio, forse prima di attaccare il numero alla schiena parteciperò a un altro ritiro in altura ma questo al momento è ancora in forse».
Hai cambiato qualcosa nella preparazione atletica? 
«Con il mio preparatore Michele Bar­toli abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni, di quello che manca: quello che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Abbiamo inserito nelle uscite lavori intervallati con frequenti cambi di ritmo, da 30-40-50” fino a 3-4’. Ov­viamente non ci limitiamo solo a quello. Si arriva a fare lavori massimali an­che di 6-7-8-10 minuti. L’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare. Nel 2024 ho imparato che, facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a raggiungere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da atleta ad atleta». 
Sei giovane ma vanti una carriera che è già una montagna russa. Qual è il mo­mento che ti piacerebbe rivivere e quello che vorresti cancellare? 
«La tappa finale del Giro d’Italia di quest’anno è stata una delle gare più belle della mia vita, la passerella tra le meraviglie di Roma, vicino a casa, con parenti e amici ad attendermi è stata magica. Dell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle ricordo con il sorriso anche la vittoria del Giro di Lussem­burgo, la mia prima classifica generale tra i professionisti chiusa al primo po­sto. Il momemto peggiore? Anche se sono finito sul podio e come miglior giovane, al Tour of the Alps ho vissuto il giorno in cui ho sofferto di più il freddo in assoluto: in Austria abbiamo beccato un tempaccio. Al contrario alla Vuelta a España mi sono dovuto arrendere ad un colpo di calore, ma sono cose che posso capitare durante una stagione».
Un augurio per te e per gli appassionati di ciclismo per il nuovo anno? 
«Una stagione ricca di soddisfazioni per tutti i corridori di casa nostra e, per quanto mi riguarda, un Giro d’Italia sul livello di quello dello scorso anno, anzi superiore, con in più una vittoria di tappa».

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