In salita attaccava, scattava, staccava. In salita voleva, valeva, volava. In salita era libero, leggero, forse felice. In salita era a suo agio, a suo modo, a sua immagine e somiglianza. In salita era in sella o sui pedali, a mani alte o anche basse sul manubrio. In salita andava forte “per abbreviare la mia agonia”, lo aveva detto a Gianni Mura e Gianni Mura lo aveva scritto per “la Repubblica”, per tutti, per sempre. In salita era Pirata e Pantadattilo. In salita era finalmente sé stesso. Marco Pantani.
Domani, sabato 8 novembre, a Monte Porzio Catone, sui Castelli Romani, si inaugura la Salita Marco Pantani. Tre chilometri e mezzo dalla cittadina dove, fra gli altri, abitava anche Sergio Zavoli, fino all’anfiteatro romano sulla strada per Tuscolo, da un’altitudine di 450 metri circa a quella di 670 circa, sulla provinciale 73b. Un serpente di asfalto che si arrampica, sinuoso e avvolgente, ma non soffocante, anzi, verde e ossigenato, nella natura e nella storia.
L’idea nata da un giornalista, Remo Sabatini, il progetto sostenuto dal Comune di Monte Porzio Catone e dalle altre istituzioni amministrative del territorio, la collaborazione con lo Spazio Pantani di Cesenatico. Alle 10, nell’aula consiliare, il ricordo di Marco Pantani; alle 11.30, nel piazzale antistante la Posta, l’inaugurazione della Salita Marco Pantani; a seguire, il ritorno nell’aula consiliare per un brindisi e il saluto conclusivo.
Le salite sono ascese e ascensioni, calvari e martirii ma anche espiazioni e santificazioni, dunque inferni, purgatori e paradisi. Le salite sono discese viste dal fondo, dal basso, dalla fine. Le salite sono Ottavio Bottecchia, che pigiava i pedali dove gli altri scendevano dai telai, sono Gino Bartali, che si divincolava come se avesse un serpente sotto la maglia, sono Fausto Coppi, che cercava e raggiungeva la perfetta solitudine, sono Charly Gaul, che abbandonava i demoni e si trasformava in angelo, sono Martin Bahamontes, che in cima aspettava il gruppo mangiando un gelato. Le salite sono anche di chi cede e sale sul camion-scopa, di chi cede e si arrangia implorando una spinta, di chi cede e si attacca allo specchietto di un’ammiraglia. Le salite sono le memorie di Marco Pantani, dal Carpegna al Ventoux, dal Galibier a Montecampione, dall’Alpe d’Huez a Les Deux Alpes, da Piancavallo al Gran Sasso, da Courchevel fino a quell’ultimo scatto, non più vincente, verso la Cascata del Toce.
Le salite, anche questa da Monte Porzio Catone all’anfiteatro romano del Parco archeologico di Tuscolo, che probabilmente Marco Pantani non ha mai fatto (ma che certamente da adesso tutti faranno pensando a lui), sono il senso – verticale - del ciclismo.
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