Davide Piganzoli: «Antalya, il primo passo»

di Nicolò Vallone

Dopo avergli dedicato la co­pertina in coabitazione con l’amico Giulio Pelliz­zari nel numero di febbraio, adesso riserviamo un articolo solo per lui. Co­me mai due interviste consecutive? Perché, do­po aver risposto alle domande della nostra Giulia De Maio in qualità di nome emergente per l’Italia delle corse a tappe, Davide Piganzoli è andato a stravincere il Tour of Antalya, non solo conquistando la maglia magenta nella tradizionale “tappa regina” (stavolta collocata sul Tahtali, la montagna degli dèi d’Anatolia) ma andando successivamente a prendere di forza la leadership degli scalatori sul GPM dell’ultima delle quattro giornate di gara.
Il tutto a completare un bel quadretto firmato Polti Kometa, col velocista Gio­­vanni Lonardi che, senza vittorie ma a suon di piazzamenti, si è preso la classifica a punti. E soprattutto a comporre un podio interamente italiano, con Alessandro Pinarello secondo (co­me ha tenuto a precisare Roberto Re­ver­beri nella puntata 204 del podcast BlaBlaBike, la Vf Group Bardiani CSF Faizanè non è solo Pellizzari) e terzo Edoardo Zambanini, che prosegue un importante percorso di crescita al terzo anno in Bahrain Victorious. Certo, è solo un evento 2.1 d’inizio stagione e come tale va preso. Ma dato che non capita tutti i giorni di portar così bene a un corridore, abbiamo pensato di ri­chiamare in causa il ventunenne Pi­gan­zoli che, mentre scriviamo, sta inaugurando il calendario italiano al trofeo Laigueglia.
Davide, a caldo dichiarasti “vittoria e maglia è un bel mix di emozioni”. A mente fredda, cos’è stato per il Tour of Antalya?
«Un’esperienza bellissima dove la squadra è partita con alte aspettative, dato che sia io che l’altro scalatore Paul Double eravamo andati forte alla Valenciana, e le ha più che rispettate lavorando molto bene».
Ormai è risaputa la passione, ereditata da tuo papà, per la meccanica della bici: po­sto che ovviamente quella parte è lavoro dei vostri ottimi meccanici, hai dovuto mettere in pratica le tue conoscenze tecniche in quei giorni?
«Nella seconda tappa ho bucato due volte e sono stato bravo a capire quando esattamente fermarmi e farmi cambiare la ruota. Sono competenze che aiutano a “capire cos’è o cosa succede” e gestire meglio le situazioni».
A proposito di gestione. Da giovanissimo avevi qualche problema a dosare le forze, maturando sei diventato estremamente prudente. Nella corsa turca hai attaccato esattamente al momento giusto sul monte Tahtali e l’indomani sei stato chirurgico: scollinando per secondo sulla salita, hai preso il punticino decisivo per la maglia della montagna, poi insieme ai compagni hai ridotto il gap dai fuggitivi quel tanto che bastava a difendere il primato nella generale...
«Penso sia una mia qualità quella di gestire e non sprecare, però per vincere bisogna attaccare e capire i momenti giusti. Corse, prestazioni e vittorie co­me quella di Antalya contribuiscono a migliorare quell’aspetto».
Nel team Polti Kometa, diretto per l’occasione da Giovanni Ellena (per il diesse piemontese si è trattato del gran ritorno dopo l’incidente in montagna che gli costò quasi la vita in autunno, ndr), eravate due scalatori, tu e Paul Double: era già scritto che su quella rampa verticale in pa­vé dovessi partire tu o è sorto tutto spontaneamente?
«Siamo partiti come capitani assolutamente alla pari. Trovo peraltro molto bello avere al mio fianco un punto di riferimento come il corridore inglese. Il mio attacco è nato solo pochi minuti prima di accadere. Tutti hanno preso la salita con grande ritmo e Badilatti della Q36.5 ci ha provato, io d’istinto sono andato a prenderlo e ho tirato dritto senza particolari problemi: a quel pun­to mi sono reso conto in pieno della mia gamba e delle mie energie. Mi sono risparmiato un attimo e, quando ci hanno ripresi, ho approfittato della stanchezza collettiva per scattare da so­lo. All’inizio mi guardavo dietro per paura che mi chiudessero, invece il vantaggio aumentava ed Ellena via ra­dio mi diceva “Spingi e vedrai che arrivi in fondo”. È stata lunga ma ce l’abbiamo fatta!».
Tappa numero 3 vinta in 3 ore, 33 minuti e 3 secondi, con un attacco a 3 chilometri dall’arrivo, alla terza corsa stagionale: il numero 3 avrà un significato particolare per te!
«Non sono superstizioso o scaramantico, semmai mia mamma ci ha fatto caso e me l’ha fatto subito no­tare (sorride affettuoso, ndr)».
Vi aspettavate di dovervi impegnare così tanto nella frazione conclusiva per difendere le vostre maglie?
«Sarò sincero, no. Pensavamo di dover giusto tenere chiusa una gara da epilogo in volata e portare Lo­nardi allo sprint. Invece, dopo aver ri­cucito sui fuggitivi e aver scollinato l’altura di giornata, squadre come Tu­dor e Uno X hanno portato via di forza una nuova fuga che è giunta fino in fondo. Noi abbiamo reagito compatti (insieme a me e i già citati Double e Lo­nar­di, c’erano Mirco Maestri, Erik Fetter, Andrea Garosio e Davide De Cassan) e abbiamo portato avanti un buon inseguimento. Perfetta gestione dell’imprevisto».
Senti che è cambiato qualcosa nella considerazione della squadra nei tuoi confronti?
«Non occorre che cambi nulla, mi da­vano già prima tantissima fiducia e la sto solo confermando e ripagando».
Come sono andate le due settimane post-Antalya?
«Ho trascorso una settimana a casa a San Marino, mentre la settimana dopo sono venuto nella mia Morbegno per stare con fidanzata, amici e famiglia. Vedere tutti così felici e grati per ciò che ho realizzato mi ha fatto molto piacere. Queste sensazioni ti fanno davvero capire di aver fatto una bella cosa, danno la misura di quanto valga la pena compiere certi sacrifici per vivere da ciclista e costituiscono una motivazione ulteriore a restare focalizzati e continuare a lavorare come e più di prima. Tornando a casa ho staccato, sì, ma è uno staccare che aiuta a ritrovare meglio la concentrazione verso i prossimi impegni. Avrei dovuto partecipare al Gran Camiño, ma le terribili previsioni meteo (rivelatesi corrette: la cor­sa galiziana vinta da Vingegaard è stata fortemente condizionata dal maltempo, ndr) ci hanno indotti ad allungare il mio riposo...».
Dopo Laigueglia ti vedremo alla Tir­re­no-Adriatico: dalle tue performance lì dipenderà la tua partecipazione alla Milano-Sanremo?
«Per adesso la Classicissima di primavera non è nelle mie corde, troppo lunga».
A proposito di Sanremo, mentre il giovane Piganzoli dominava Antalya la giovane Angelina Mango conquistava il Fe­stival: hai aggiornato la tua inesauribile playlist?
«No, ma devo confessarvi che mi è di­spiaciuto un po’ non vederlo. Quando posso lo guardo volentieri, ho un bel ricordo di quando nel 2022 lo seguii insieme a Lorenzo Milesi. Ero andato a casa sua per allenarci assieme, i miei genitori si beccarono il Covid e finché non guarirono rimasi da Lo­renzo. Ve­demmo trionfare Mahmood e Blanco».
Siete molto amici tu e il campione del Mondo a cronometro Under 23?
«Da Juniores nella Trevigliese strinsi ottimi rapporti con lui e Alessandro Romele. Con Milesi riusciamo ancora a vederci spesso dato che abita a San Ma­rino; Romele lo vedo quando vado a trovare la mia ragazza all’Aprica e magari faccio un allenamento lungo fi­no al lago d’Iseo, patria di Ales­san­dro».
E in Polti Kometa con chi sei più amico?
«Storicamente con Fernando Tercero, col quale ho condiviso un biennio nella Eolo Kometa Under 23 e la promozione in “prima squadra” l’anno scorso. Ora sto spesso in camera con Double e Fetter, coi quali stiamo creando una bella intesa internazionale tra scalatori».
Fuori dal ciclismo hai tanti amici?
«Essendo un tipo molto solare, tendo a essere “amico di tutti” sia in squadra, sia in gruppo, sia fuori dal mondo sportivo. Tuttavia non trovo così semplice avere tanti amici all’esterno della cerchia ciclistica, alla fine gli amici-colleghi sono quelli con cui sei più portato a confrontarti e avere a che fare».
Uniamo bicicletta ed evasione. Da Al­lievo e Juniores hai provato anche il ciclocross: dato che ti diverte molto andare in bici sugli sterrati in inverno, ti piacerebbe tornare pure a gareggiarci?
«Quella la considero una meravigliosa parentesi che mi ha portato a conoscere persone tuttora importanti nella mia vita. Per me il cross era uno sfogo e un allenamento, mi divertiva molto. Oggi però mi limito alla piacevolissima mountain bike invernale sui bei percorsi sammarinesi e valtellinesi».
Allora torniamo in strada e procediamo con l’ultima domanda. Nell’intervista a Giulia De Maio del mese scorso hai parlato del Tour de France come della tua cor­sa dei sogni: volendo restare nel breve-medio periodo, qual è la gara a cui pensi più ardentemente?
«Il Giro dell’Emilia. Una prova così to­sta, col quadruplo San Luca a deciderne le sorti, lo scorso anno sono rimasto fin quasi alla fi­ne coi migliori (podio Roglic-Po­gacar-Yates ndr) e mi sono piazzato 16° (davanti a Romain Bardet ndr). È stata una delle prime in cui ho sentito di andar forte coi professionisti, quindi può essere un obiettivo da fissare».

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