Editoriale

SIAMO ALLA RESA DEI CONTI. Mese cruciale, questo. Grandi Giri-Uci è ancora guerra sul ProTour. Dopo dieci mesi di schermaglie, il 31 luglio scorso gli organizzatori di Giro, Tour e Vuelta hanno emesso un comunicato congiunto per dettare al governo del ciclismo mondiale le loro condizioni per l’ingresso nel grande circuito professionistico.
«È quella la nostra riforma. Il Pro Tour così come è presentato dall’Uci non ci appartiene. Da qui noi non torniamo indietro», fa sapere Angelo Zomegnan, direttore eventi di Rcs Sport.
Questi i punti principali delle proposte dei Grandi Giri:
4 gli organizzatori storici rifiutano l’idea della licenza e si definiscono «organizzatori associati»;
4 attraverso le loro Federazioni chiederanno l’iscrizione annuale delle loro prove al calendario internazionale. Avranno l’obbligo di accettare, in tutte le loro corse, le squadre Pro Team;
4manterranno la pienezza dei loro diritti sui rispettivi marchi, e quindi potranno portare azione legale verso chiunque minacci la loro immagine: si potrà giungere anche all’esclusione di una squadra o di un corridore;
4 saranno loro a determinare quali marchi potranno apparire e nessuno potrà utilizzarli;
4 non è previsto un programma di marketing comune e alcuna divisione di diritti tv.
Ma anche sul fronte tecnico i Grandi Giri ribadiscono:
4 il ritorno a un massimo di 18 squadre di Pro Tour (ora sono 20), con una licenza limitata a 3 anni (contro i 4 attuali);
4 la riorganizzazione delle classifiche con promozioni delle migliori squadre del circuito Professional (una diciannovesima licenza potrebbe essere attribuita alla vincitrice del circuito europeo);
4 quattro wild-card a loro disposizione.
Detto questo, il 12 agosto scorso si è fatta sentire l’Associazione internazionale dei gruppi sportivi, presieduta dal belga Patrick Lefevere, la quale ha ribadito il proprio sostegno all’Uci e l’adesione senza riserve al ProTour. Tra le altre cose ha anche confermato l’intenzione di chiedere al governo mondiale della bicicletta di adottare le decisioni prese l’11 aprile scorso: cioé il diritto ma non l’obbligo, di partecipare ai grandi giri e alle corse monumento (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia) se non saranno iscritti al calendario Pro Tour 2006. Non solo, dal Direttivo delle squadre è anche emersa una ventilata pressione sull’Uci affinché nel calendario 2006 (che sarà presentato a fine mese a Madrid) ci siano alcune pesanti concomitanze a sfavore dei Grandi Giri. Il Giro di Germania partirebbe lo stesso giorno del prologo del Giro d’Italia; il Mondiale sarebbe anticipato a fine agosto, una settimana prima della Vuelta. Il Tour? E chi lo tocca! Ad ogni modo, ora siamo alla resa dei conti. Che prevalga il buon senso. Forse non lo si è capito, ma si sta scherzando con il fuoco.

MATEMATICA, STORIA E GEOGRAFIA. Quest’anno ai Mondiali di Madrid l’Italia e le nove migliori Nazioni del mondo correranno con 9 corridori a testa anziché con 12. Nell’anno della rivoluzione ProTour, la rivoluzione è stata fatta anche per stilare le nuove graduatorie mondiali, che tengono conto delle varie classifiche continentali e di conseguenza del peso specifico delle diverse Nazioni. I grandi pensatori di Aigle hanno creato, stabilito, disposto e così, il prossimo 25 settembre, l’Italia correrà con nove atleti al pari di Stati Uniti, Spagna, Germania, Belgio, Australia, Olanda, Kazakistan, Francia e Svizzera. Con sei, tre in meno delle superpotenze storiche del ciclismo, Russia, Polonia, Repubblica Ceca, Portogallo, Gran Bretagna,
Slovenia, Brasile e udite udite Sudafrica e Iran. Poi ci fermiamo qui, per non tediarvi e gettarvi nello sconforto. Basti dire che la Danimarca schiererà tre corridori, tre in meno di Iran e Burkina Faso. Norvegia e Lussemburgo? Un corridore a testa: che importa se la Norvegia ha corridori di livello mondiale come Hushovd e Arvesen, mentre il Lussemburgo vanta Kim Kirchen, Benoit Joachim, e i fratelli Schleck, Frank e Andy.
E volete sapere come si è arrivati a questa formulazione? Prendiamo il caso di Kim Kirchen che ha vinto tre gare, ma in corse Continental. Queste vittorie non gli hanno portato punti perché lui è corridore di ProTour. E lo stesso discorso vale per Hushovd. I corridori iraniani, invece, hanno probabilmente raccolto molti punti nel loro paese e circondario e così una nazione che ciclisticamente non esiste, conterà più di Norvegia e Lussemburgo, e quasi quanto le dieci superpotenze del ciclismo. Perché nel nuovo ciclismo voluto da Verbruggen, il nostro sport non ha più storia, ma si basa molto più semplicemente sulla matematica e la geografia. Come in un bel gioco del Risiko, dove si comprano Stati e si conquistano territori. D’altra parte non dimentichiamocelo mai, al momento del voto Italia e Iran si equivalgono: entrambe portano un voto.
Pier Augusto Stagi
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