Pozzovivo: «Il Giro è la mia corsa, voglio un'altra top ten»

di Carlo Malvestio

Non c’è Domenico Pozzovi­vo senza Giro d’Italia e non c’è Giro d’Italia senza Do­menico Pozzovivo. Pensia­mo­ci bene, dal 2005 al via della Corsa Rosa il lucano c’è sempre stato tranne, suo malgrado, nel 2006 a causa di un infortunio e nel 2009 perché la CSF non venne invitata. Non ha mai pensato di sacrificare il Gi­ro per puntare a qualche altro obiettivo, per lui una stagione agonistica sen­za il Giro è incompleta. Quest’anno, dalla Costa dei Trabocchi, comincerà la Corsa Rosa per la 14ª volta consecutiva, la 17ª in totale.
«Arrivato alla mia età ammetto che questi numeri comincio a guardarli, perché significano che qualcosa di buo­no nella mia carriera l’ho fatto - spiega Pozzovivo -. Non posso che esserne estremamente orgoglioso. Perché sempre il Giro? Beh, finché ho corso con una squadra Professional è sempre sta­to il grande obiettivo stagionale, quasi obbligatoriamente, quindi le stagioni si incentravano sempre su quello. Dopo­di­ché, comunque, ho continuato a farlo perché è la corsa in cui mi sono sempre trovato più a mio agio, dove ho ottenuto le soddisfazioni più belle, quindi anno dopo anno non vedevo il motivo per sacrificarlo. Ora come ora, dal pun­to di vista affettivo, farei fatica ad im­maginare una stagione senza il Giro d’Italia».
Tuttavia il suo feeling con il Giro non è sempre stato rose e fiori, dal momento che fin dalla sua prima partecipazione, da promettente 22enne, capì che un Grande Giro può dare e può togliere: in piena lotta per un piazzamento nei 20, cadde il penultimo giorno, dicendo addio ad un risultato che avrebbe avu­to un peso specifico molto importante. Anche nel 2010 e 2011 dovette ritirarsi anzitempo, ma la scoppola più dolorosa l’ha presa nel 2015, finendo a terra e sbattendo la testa durante la terza tap­pa, con conseguente perdita dei sensi, 27 punti di sutura al volto e una giornata in terapia semi-intensiva. Tutte queste disavventure, unite a tante altre e alla voglia di Domenico di rialzarsi sem­pre e comunque, disinteressandosi totalmente della carta d’identità, non hanno però fatto altro che far crescere l’ammirazione verso questo corridore, che a 40 anni continua a sognare e non porsi limiti.
Questo inverno, per più di qualche settimana, abbiamo temuto che l’edizione 106 del Giro d’Italia potesse privarsi del lucano per la prima volta dal 2010; la Intermarché-Circus-Wanty non gli aveva infatti rinnovato il contratto, no­nostante una stagione 2022 in cui ave­va chiuso 8° il Giro d’Italia, 9° il Gi­ro di Svizzera e 3° il Giro dell’Emilia, oltre a tantissimi altri piazzamenti. L’ufficialità del suo approdo alla Israel-PremierTech è arrivata solo a fine febbraio, a stagione già ampiamente cominciata. Quanto basta, però, per garantirne la sua presenza al Giro. Professionista esemplare, si è presentato alla prima corsa stagionale, la Settimana Coppi&Bartali, già pimpante, chiudendo sesto in classifica generale e sfiorando il successo di tap­pa a Forlì, dove ha chiuso secondo .
Prima del Giro, l’unico appuntamento che ha messo in calendario è stato il Tour of the Alps, corsa che ha finito sei volte sul podio, vincendo nel 2012 l’allora Giro del Trentino. Le risposte, però, non sono state quelle sperate, con un 21° posto che lo ha tenuto sempre lontano dalle prime posizioni: «Il Tour of the Alps non mi ha lasciato sod­disfatto della mia condizione - am­mette il lucano -. Mi aspettavo di essere un po’ più avanti, di stare a contatto coi migliori, ma ancora manca qualcosa. Rispetto alla Coppi&Bartali ho avvertito un piccolo passo indietro, anche se ovviamente parliamo di corse diverse. Ho tenuto lo stesso livello per tutti e cinque i giorni e quando in una gara hai questo andamento è anche difficile ribaltarlo. Non è una questione di età, a volte capita di avere un passaggio a vuoto, mi è successo spesso anche in passato ma poi sono sempre riuscito a rimediare. Prima del Giro avrò un po’ di giorni per trovare dei correttivi, an­drò in ritiro sull’Etna per cercare di trovare il miglior colpo di pedale».
Ciò che sembra spaventare di più Poz­zo­vivo, però, è il setting con i nuovi ma­teriali, dal momento che ha avuto solo due gare per testarli a fondo e an­cora non c’è l’equilibrio perfetto: «In effetti è una questione che dobbiamo ancora perfezionare. Al TotA ho provato a cambiare posizione in bicicletta per ottimizzare le prestazioni, ma le co­se non sono andate come speravamo. C’è da lavorare anche su questo».
Domenico ha chiuso la Corsa Rosa nella Top 10 per ben sette volte (mi­glior risultato il 5° posto del 2014 e del 2018) e anche quest’anno l’obiettivo rimarrà quello. La sola presenza di Pri­moz Roglic e Remco Evenepoel, però, renderà la lotta per le parti alte della classifica generale ancora più ardua: «Anche a 40 anni passati voglio provare ad entrare nei primi 10. Lo voglio io e me lo chiede la Israel PremierTech, che mi ha ingaggiato proprio per puntare a questo obiettivo. Che Giro mi aspetto? Un po’ più tattico all’inizio, ma poi ci sarà un punto di rottura dal quale si creerà grande spettacolo».
Nelle sue tantissime partecipazioni Pozzovivo ha vinto però una sola tappa, nel 2012, in maglia Colnago, a Lago Laceno, una salita che tornerà in questo 2023.
«È sicuramente uno dei momenti più belli della mia carriera - ammette ancora lo scalatore di Policoro -. Difficile prevedere come possa venire fuori in quella tappa quest’anno, perché il ciclismo di oggi ha poco di già scritto. Nel 2012 era una tappa di 230 km e 6 ore in sella, mentre quest’anno sarà più breve ed intensa, in stile Tour of the Alps. Potrebbe esserci meno selezione rispetto ad allora, ma anche in quella occasione dietro di me era rimasto un gruppo abbastanza folto. Rivincere lì sa­rebbe meglio di una sceneggiatura cinematografica; sarà ovviamente difficile ma non voglio nemmeno escluderlo, magari trovo la giornata giusta e faccio io il colpaccio. Chi può dirlo...».
A novembre compirà 41 anni, eppure continua ad essere una delle carte mi­gliori per l’Italia quando la strada sale. E l’impressione è che il 17° Giro, nei suoi pensieri e desideri, non debba es­sere l’ultimo: «I cinque momenti della mia carriera che mi hanno portato ad essere qui oggi, a 40 anni suonati? Il primo è sicuramente il mio Giro d’I­ta­lia d’esordio, nel 2005, quando sono stato sempre a ridosso dei primi e po­tevo chiudere agilmente nei primi 20, salvo poi cadere a due tappe dal termine e ritirarmi. Lì però ho capito di po­ter essere un uomo da Grandi Giri. Il secondo è il Giro del 2008, in cui ho sempre lottato coi migliori e ho conquistato la mia prima Top 10 in generale. Il terzo è il Giro 2012, in cui ero leader unico della squadra, ho vinto la mia prima e unica tappa a Lago Laceno e chiuso in Top 10. Il quarto è la Liegi-Bastogne-Liegi 2014, chiusa al 5° posto dopo esser stato ripreso all’ultima cur­va. Una delusione, ma lì ho capito di poter essere qualcosa in più che un corridore solo da corse a tappe. Infine il recupero quasi miracoloso dall’incidente del 2019, dopo una serie infinita di interventi chirurgici e il rischio di protesi al braccio. Mi ricordo di un paio di allenamenti a dicembre di quell’anno, nei quali avevo riavvertito delle bel­le sensazioni e capito che potevo tornare. Ci volle una grande forza di vo­lontà, ma aver creduto in me stesso alla fine aveva pagato. Ora, al Giro 2023, sarebbe bello aggiungere qualche altro bel momento…».

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