Edoardo Affini: «Tutti per Roglic, la sfida a Evenepoel è lanciata»

di Nicolò Vallone

Primoz Roglic, Edoardo Af­fini, Sepp Kuss, Michel Hess­mann, Jan Tratnik, Ro­bert Gesink, Koen Bou­w­man e Tobias Foss. Que­sti sono gli otto alfieri della Jum­bo Visma che al Giro d’Italia sa­ranno diretti da Addy Engels, Arthur Van Dongen e Marc Reef. Un roster an­nunciato con un mese d’anticipo, scel­ta poco solita e molto solida da par­te dello squadrone olandese.
C’è uno dei sette scudieri di Roglic che è un po’ più vicino a lui rispetto agli altri: il mantovano Affini, che col capitano sloveno ha diviso la stanza nel ritiro sul Teide dove i “calabroni” hanno trascorso il mese di aprile, davanti agli occhi sapienti del responsabile delle prestazioni Mathieu Heijboer, per preparare al meglio il Giro d’Italia.
Edoardo, tu hai raggiunto i compagni a Tenerife subito dopo la Parigi-Roubaix: che campagna del Nord è stata?
«Nonostante non abbiamo portato a casa una monumento, direi buona: ab­bia­mo sempre corso per vincere e di classiche belghe ne abbiamo portate a casa cinque (Omloop con Van Baarle, Kuurne con Benoot, Harelbeke con Van Aert, Wevelgem e Dwars con La­por­te). Io sono stato condizionato da un paio di cadute, ma fa parte del gio­co».
Non possiamo non chiederti un commento sul “regalo” di Van Aert a Laporte...
«Fatto bene, fatto male, ognuno la pen­sa come vuole ma se lui se l’è sentita di far così è perché la riteneva la cosa giusta: tra tutti noi c’è un bel gruppo e una bella amicizia, in quel momento Wout ha ritenuto così dopodiché è stato fatto tanto rumore per nulla».
Riportiamoci sul presente: in ritiro lì con voi c’era anche il neoprofessionista inglese Thomas Gloag, poi volato in Svizzera per il Romandia. Cosa ci dici di lui?
«Giovane interessante direi, l’abbiamo visto tra Valenciana, UAE e Cop­pi­&­Bar­tali. Chiaramente dovrà “farsi” e col tempo vedremo se tra crono e tenuta diventerà uno da grandi giri, ma il potenziale da scalatore puro c’è eccome.»
E cosa ci dici del manipolo di voi otto per il Giro?
«Ben bilanciato tra giovani ed esperti, c’è chi è al quinto-sesto Giro e chi è al debutto. Chiaramente con uno zoccolo duro di uomini forti in salita o comunque abituati a fare tanto sforzo per il leader. Io e Hessmann saremo i lavoratori “di pianura“ mentre quando si sale toccherà ai vari Gesink, Kuss, Bou­wman. Abbiamo poi un jolly come Tratnik e il campione del mondo a cronometro Foss.»
Pensi di poter avere un minimo spazio per te, oltre alle crono?
«Direi di no, siamo tutti per Primoz. Come sempre, se un’occasione dovesse capitare non ci si tira indietro, ma fondamentalmente siamo lì per lui.»
Ecco, come sta Roglic?
«Dopo l’operazione alla spalla sinistra dello scorso autunno che l’ha tenuto fermo a lungo, lo vedo bello rilassato e l’ha dimostrato in questo inizio stagione: ha partecipato a due corse, Tirreno-Adriatico e Volta Catalunya, e le ha vinte entrambe. Una bella dose di mo­rale per lui e la squadra. Qui sul Teide ha lavorato bene, ora vediamo di rifinire bene il tutto e di metterlo in pratica nelle tre settimane.»
Peraltro in Catalogna lui ha anticipato quello che sarà il grande rivale alla Corsa Rosa, Remco Evenepoel.
«Naturalmente va considerato che so­no gare diversissime, diciamo che quello catalano è stato un assaggio della sfi­da che vedremo tra questi due fenomeni. Perché di fenomeni si tratta.»
Un fenomeno Remco che avete incrociato sul Teide insieme al suo Wolfpack, dato che sia loro che voi avete preparato lì il Giro: da avversari, come l’avete visto?
«Un campione in formissima che con Roglic darà vita a un duello super interessante.»
In attesa dell’ufficialità, con Evenepoel al Giro dovremmo aspettarci un Ballerini-Cattaneo-Cerny-Hirt-Masnada-Van Wil­der-Vervaeke: che sensazione avete in vista della sfida contro di loro?
«Per supportare Remco portano un team parecchio robusto, specchio della transizione che stanno facendo da do­minatori di classiche ad assaltatori di grandi giri. Al Giro penso si alterneranno momenti di alleanza temporanea per obiettivi co­mu­ni ad altri di bella battaglia di gam­be e tattica.»
Ma sarà soltanto sfida contro di loro o temete qualcun altro?
«Dovremo tener bene d’occhio la Ineos Grenadiers, sono una garanzia nelle grandi corse a tappe. Nomi come Tao Geo­ghegan Hart e Geraint Tho­mas hanno un peso im­portante, se poi ag­giungi ad esem­pio un giovane come Thymen Arensman capisci bene quale sia il loro valore».
Tornando pret­tamente a voi: l’anno scorso Bouwman vinse la classifica scalatori, se quest’anno doveste vedere lui o qualcun altro provare a far qualcosa del genere lo bloccherete subito?
«Anche nel 2022 siamo andati al Giro per fare classifica in teoria, ma sull’Etna dopo appena quattro tappe i nostri leader Dumoulin e Foss dovettero purtroppo riconoscere di non essere all’altezza degli altri e cambiammo ambizioni. Da lì scaturirono i successi di Koen e altri buoni piazzamenti».
In questo Giro, se tutto va bene, non si do­vrebbe verificare uno scenario del ge­nere. Ma nel malaugurato caso in cui do­vesse accadere qualcosa a Primoz, avete un piano B?
«Onestamente non ne abbiamo parlato».
Ti piace il percorso del Giro d’Italia 2023?
«Molto impegnativo, tapponi oltre i 5.000 metri di dislivello che ci metteranno a dura prova e contribuiranno a rendere toste altre tappe sulla carta me­no eclatanti. Oltretutto, per come si corre adesso, qualsiasi strappo può na­scondere insidie: dobbiamo davvero essere pronti in ogni occasione ed es­ser bravi tatticamente a individuare i punti decisivi».
Cosa pensi della particolare scelta di piaz­zare la cronoscalata del Monte Lus­sari come penultima, e dunque dirimente, frazione?
«Decisamente impegnativa, fin troppo (ride, ndr). Temo ci sarà qualche problema di tempo massimo: quelli che si giocano il Giro andranno su a fiamma, noialtri saremo lì a cercare “solo” di ar­ri­vare in fondo ma rischieremo lo stesso di prendere tanti minuti. Spero che allarghino un po’ i tempi anche perché rischi di ammazzare i velocisti e arrivare a Roma in pochi».
Rimaniamo in ambito crono, dato che è il tuo “core business”: che te ne pare delle altre due disegnate dagli organizzatori?
«Quella inaugurale dei Trabocchi è molto interessante, altre volte si sono fatti dei prologhi mentre qua si può già iniziare a fare distacchi con quei due chilometri all’insù nel finale. Distacchi che potranno essere ancora più ampi nei 35 chilometri piani in Romagna che costituiranno la nona tappa, al termine della prima settimana».
E chissà che in tali occasioni non arrivi la tua prima vittoria in Jumbo, che sarebbe la tua prima vittoria di massimo livello in carriera dopo le due affermazioni del 2019 nei Tour of Norway e Britain...
«Vediamo dai. La concorrenza è bella tosta, a partire da quella interna dato che più di un mio compagno va forte nelle prove contro il tempo. Ed è una cosa che mi fa piacere, non mi mette pressioni e la trovo stimolante».
A quasi 27 anni avverti la mancanza dello “scalpo di prestigio” nel palmarès?
«In diverse situazioni mi è mancato un pelo, ho fatto collezione di secondi po­sti. Vincere è sempre difficile, spero di trovare l’occasione giusta nel corso della stagione».
Inoltre non dimentichiamoci che alla Vuel­ta sei stato maglia rossa per un giorno.
«Vincendo la cronosquadre iniziale ci eravamo messi nella condizione di po­terci, di fatto, passare la maglia di giorno in giorno. Al terzo giorno a Breda mi hanno detto “oggi è il tuo turno”: abbiamo avuto come priorità il tenere avanti Roglic negli ultimi tre chilometri, fatto quello, ho potuto andare avanti io ed è stato proprio un bel momento di soddisfazione e condivisione con la squadra».
A proposito di Spagna, che programma avete seguito lì sul Teide?
«Lo schema è quello ormai classico, periodo iniziale di adattamento poi distanze e chilometri fino a metter dentro un po’ di intensità. All’inizio più vicini al livello del mare, poi vieni più su. Chiaramente poi ciascuno lavora nello specifico a seconda delle proprie caratteristiche.»
Una squadra come la vostra che va al Giro per vincerlo lavora diversamente da una che va a caccia di tappe, ad esempio?
«Magari ti concentri su alcuni aspetti leggermente diversi, su ripetute differenti. Se devi far classifica tendi a far lavori più lunghi, per essere in grado di tenere una salita di 40 minuti a un tot di intensità, invece chi si prepara per vincere tappe forse si concentra maggiormente sull’esplosività.»
Perché praticamente tutte le squadre professionistiche vanno in Spagna?
«Innanzitutto il clima: non sono molte le aree geografiche europee dove puoi andare in altura in inverno e trovare temperature ancora miti. Individuato questo aspetto che già fa tanta differenza (non puoi pensare di andare a Li­vi­gno a dicembre, per dire) un altro fattore è la qualità delle strade: anche laddove non ci siano ciclovie, comunque le strade “normali” tendono a essere ampie e ben presidiate dalla polizia. Cert­o, pure qui in giro a volte trovi dei fenomeni (e non nel senso di Roglic ed Evenepoel) che magari ti fanno il pelo e non ti rispettano, ma in linea generale noto una maggiore abitudine alla convivenza auto-bici e una minore aggressività nei confronti dei ciclisti che un automobilista incontra».
Non c’è anche un discorso di strutture ri­cettive più all’avanguardia per voi?
«No, quelle ci sono anche in Italia. So­lo che appunto, in Spagna troviamo un clima ideale e abbiamo meno paura di esser messi sotto».
Ultima domanda. Sei in Jumbo Visma dal 2021, hai vissuto in prima persona il passaggio da squadra forte a vero e proprio “Manchester City del World Tour”: in questi due anni abbondanti hai avvertito un mutamento, un’evoluzione di quelle che sono le vostre pressioni, motivazioni, ambizioni e obiettivi?
«No, e vi spiego perché. Questa evoluzione che vedete non è dovuta a cambiamenti che avvengono di stagione in stagione, bensì è frutto di una mentalità ben definita da anni. Io sono arrivato qui in un contesto nel quale il processo evolutivo era già avviato e questa mentalità era già presente, ed era la medesima che guida il team oggi. Nes­suna differenza: ogni anno ci poniamo degli obiettivi, capiamo come raggiungerli e ognuno s’impegna al massimo perché il team riesca a centrarli. Ov­via­mente non è sempre domenica, ma questo è lo sport.»
Quindi hai l’onore di essere stato chiamato in una squadra che già ragionava da top team e che si preparava ad andare alla conquista del mondo.
«Esatto, e mi ci trovo benissimo.»

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