Editoriale

IL TELEFONO ALLUNGA LA VITA. Le cause dirette le sapremo solo fra qualche mese, quando in Spagna avranno completato gli esami autoptici. E quello sarà probabilmente l’ultimo atto di una tragedia tanto triste quanto annunciata. Ma un dato, nella vicenda di Alessio Galletti, deve far riflettere fin da subito. Ed è questo: Alessio laggiù probabilmente non avrebbe dovuto esserci. Se è vero, come ha riferito Ivano Fanini all’Ansa, che le sue condizioni di salute non gli avrebbero permesso di ottenere l’idoneità. Quindi: come ha fatto il corridore toscano ad ottenere un lasciapassare così importante se aveva problemi che in un primo momento gli avevano procurato una “bocciatura”?
È una zona d’ombra tutta da chiarire. Il medico della squadra, Paolo Tamburrini, dice che tutto era a posto. «L’ho visto l’ultima volta alla Bicicletta Basca ed era tutto assolutamente normale. Non mi ha segnalato alcun problema. Nè ce n’erano stati ad inizio d’anno, come risulta dal certificato di idoneità fatto in Toscana».
Ma resta il dubbio legato a quelle difficoltà di ottenere l’idoneità proprio ad inizio d’anno. Perchè un medico rifiuta allo stesso soggetto (in questo caso Galletti) quell’idoneità che un altro invece gli conferisce? È questo un problema grosso e spesso sottovalutato. Un argomento su cui i dirigenti dello sport (e del ciclismo in particolare) dovrebbero riflettere, indagando più a fondo, per evitare appunto situazioni come questa. Per non parlare delle associazioni dei corridori, la cui prima preoccupazione dovrebbe essere la tutela della salute dei propri associati.
In una recente indagine dei Nas, proprio in Toscana - ma guarda che combinazione - sono emersi nel calcio e in altri sport centinaia di certificati di idoneità “fatti al telefono”. È ancora il caso di dire che una telefonata allunga la vita?

IL GIRO TORNI TRA LA GENTE. Grande corsa il Tour, pure troppo. Imponente, maestosa, esagerata, ma qualcosa il Giro può e dovrebbe imparare dalla Grande Boucle. Cose banali, ma che alla fine potrebbero rivelarsi sostanziali, per accrescere l’immagine e l’impatto della corsa rosa, migliorando la fidelizzazione con i propri tifosi, che in Italia faticano a riconoscere i protagonisti di questo meraviglioso sport.
Al Tour è stato indetto un concorso con il quale hanno messo in palio alcuni posti per la tribuna «Vip», che garantivano ai pochi fortunati una posizione privilegiata per assistere alla parata finale sui Campi Elisi. Un’idea carina, di facile realizzazione, che si aggiunge alla tradizionale parata delle squadre e dei loro corridori in passerella su uno dei viali più conosciuti e apprezzati al mondo. Da noi non c’è né parata finale, né possibilità di vedere da vicino i propri beniamini. Da noi i tifosi sono ingabbiati e tenuti lontano dal palco delle premiazioni. La Francia e il Tour insegnano invece che lo spettacolo si può fare anche con il dopo. Dopo tre settimane di fatica, sfilando davanti agli sportivi di Francia, pronti a tributare un lungo applauso a tutti: vincitori e vinti. Punzonature, parate finali: quando il Giro tornerà a fare spettacolo non per la gente, ma tra la gente?

AMORE, MI HA BATTUTO BASSO. È un argomento che sta a cuore a noi, ma a quanto pare anche ai nostri lettori, che ci hanno ricoperto - non esageriamo - di messaggi e messaggini. Come si dice in questi casi: Gatti e tuttoBICI ci hanno preso ancora una volta.
Il problema delle Gran Fondo, che vanno sempre più a fondo sotto i colpi di pedale di ex professionisti passati alla professione di ciclisti della domenica, sta a cuore a tanti. Per lo meno a quei ciclisti della domenica che sono tali a tutti gli effetti e non amano farsi ridicolizzare da questi ganassa su due ruote che faticavano a farsi notare nella massima serie e qui si prendono le loro belle rivincite contro i dottor Rossi e i signor Bianchi. Gatti ha parlato dei Rumsas per indicarne altri cento come lui (o molto meno di lui, visto che Raimondas è forse uno dei pochi che aveva un nome nel mondo del professionismo), che dal mondo più o meno dorato del grande ciclismo sono passati al ciclismo di chi fa i conti: 4 mila, 5 mila, 6 mila iscritti, quote d’iscrizione sempre più salate e così via.
Gatti chiede agli organizzatori che facciano un passo indietro e che i campioni di cartapesta si facciano da parte, puntando soprattutto l’indice sulla questione etica e morale legata a questo malcostume. È una visione delle cose del tutto condivisibile. Io, questo mese, aggiungo un ulteriore elemento di riflessione. Che ne direste di aprire la Sanremo agli amatori, o la Maratona delle Dolomiti ai professionisti? Ma regolamentandole come si conviene. La Sanremo, lasciandola prova di Pro Tour, aperta però a tutti coloro i quali vogliano gareggiare assieme ai Petacchi, ai Bettini e ai Tom Boonen. Come avviene in pratica per la maratona di New York: partono davanti i professionisti e dietro gli appassionati. Se il ciclista della domenica ha la libidine di correre gomito a gomito con il campione (diciamo partire con il campione), facciamo in modo che questo avvenga.
Poi ognuno farà la sua corsa e ovviamente vinceranno i Petacchi o i Bettini. E alla Dolomiti lo stesso: se vogliono il campione che corra e vinca, che vincano almeno i Di Luca, i Cunego o i Basso. Il ciclista della domenica, fino a prova contraria, quando tornerà a casa sfinito e depresso dopo l’ennesima giornata passata più a rincorrere che a correre, potrà sempre dire alla propria moglie: «amore, mi ha battuto Ivan Basso». Sempre meglio di oggi, che a batterlo sono i Biasci, i Tani e i Giraldi.
Pier Augusto Stagi
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