Rapporti & Relazioni

Ciclismo nuovo nelle città

di Gian Paolo Ormezzano

Visti il Giro d’Italia con partenza a Budapest e e il Tour de France con partenza a Cope­na­ghen, viste le enormi folle cittadine (in Danimarca assai più che in Ungheria, d’altronde il paese di Amleto è assai più ci­clistoso del paese dei ragazzi della via Pal), possibile se non anche opportuno e quasi quasi doveroso, almeno secondo un giornalismo à l’ancienne, pensare ad un nuovo ciclismo e pro­porlo. Senza presunzione, casomai per amore vero, e neanche mettendo avanti l’esperienza, che di questi tempi poi perde continuamente valore alla luce di scienza nuova, diavolerie nuovissime, incoscienza inveterata, dogmatica cultura internettiana e informazioni false. Nelle righe che se­guono offriamo una idea di ci­clismo pop ma anche rock, li­scio ma anche break dance, tra­dizionale ma anche classico, ricco il giusto di sofferenza, am­messo che la sofferenza sia una ricchezza (e i fachiri siano dun­que i veri magnati del mon­do), e insididato dalla pe­dalata elettricamente assisitita, che presto sarà tutta in una una batteria grossa - nel senso di piccola - come un orecchino da maschietto, e dunque introvabile o quasi.

Il ciclismo deve recuperare le grandi città: da qui in avanti facciamo persino un poco gli iconoclasti, un pochino i blasfemi, pur di essere chiari. E usiamo la prima solennizzante persona plurale che fu dei giornalisti cantori sa­cri della bici e dei pedalatori. L’ecologia urbana è per questo nuovo ciclismo, e le montagne sono sempre più distanti dalla voglia di comodità, figlia del benessere comunque cercato. Senza più la paura di turbare ii traffico automobilistico, che fra guerre, aumenti del petrolio, evoluzioni non solo delle vetture ma anche della tipologia del lavoro umano, è co­munque destinato a drastiche riduzioni. Le grandi città han­no, devono avere voglia di bicicletta, i corpi umani di pedalata facile, di sudore sano. Il progressivo riscaldamento della terra ha svantaggi davvero co­smici ma - speriamo, se non al­tro - ancora contenibili e diluibili nei secoli futuri, ma almeno in parte risarcisce con il pro­gredire del bel tempo in tan­to mondo e la fine o la riduzione delle grandi piogge e dei grandi freddi, comunque co­sacce rubricate come nemiche della bicicletta.

Dunque grandi città, e diremmo più circuiti cittadini che velodromi per la pratica decisamente sportiva, velodromi che sembrano posti da criceti frenetici impegnati su piste brevissime. Le montagne, le grandi salite, le maratone dei pedalatori? Tutto ormai riducibile, comprimibile in qualche metaverso, e pazienza se pochi sa­n­no bene cosa è. Un Galibier nel salotto di casa è possibile, su rulli sensibilizzati, tarati sul­la grande salita. In paragone ad una gran fondo, spese minime, rischi minimi, stessa fatica sa­na. Vero che tra poco si potrà magari pedalare dove adesso si stanno ritirando i ghiacciai, ma vero anche che sudare a casa è comodo e costa assai meno. In fondo si torna all’isometria, la ginnastica in spazi minimi che ebbe fortuna alla fine del secolo scorso, il muscolo allenato serrando in ufficio una matita, a tavola una forchetta (e mettendocela si capisce tutta).

Circuiti cittadini sicuri, senza rotaie dei tram ormai oggetti per una veicolazione curiosa, tipo vintage. Pericoli ridotti, anche se intorno ci sono le ca­se. La stessa formula 1 sta ad­dirittura (ri)scoprendo i circuiti cittadini: e dire che sino a ieri l’altro si pensava all’abolizione del Gran Premio di Mo­na­co-Montecarlo per via della troppa gente troppo vicina ai bolidi.

I circuiti, contenibili in parchi ad hoc, possono ospitare anche difficoltà interessanti altimetriche o simili: come già avviene in certi circuiti del Mondiale. D’altronde le palestre artificiali di roccia per alpinisti di città sono una realtà, ormai. La varietà degli ostacoli porterà ad una varietà di biciclette, comunque già av­viata eccome, e con costi subito alti: velocipedi da strada pu­ra, da strada accidentata, da montagnola, da cross, da acrobazie, e pazienza se talora da circo. Già adesso la bicicletta classica ha tante sorelle neanche troppo gemelle, e dopo il mutamento dei materiali che la costituiscono c’è ora quello proprio dell’aspetto.

Possibile persino sperare che la divisa classica del ciclista venga rivista, quella di adesso fa sorridere e anche ridere, nonostante i bei colori dei tessuti. Non sappiamo come può essere va­riata, sappiamo che bisogna va­riarla. E chiudiamo con questa autolimitazione, con questa confessione che sembra un escamotage onde evitare la la­pidazione immediata, e invece ci deve appartenere seriamente, specie quando vediamo in tivù come sono belli e bene ve­stiti gli atleti di quasi tutti gli altri sport, donne e uomini.

Ah, le donne. Dimentica­va­mo che il ciclismo nuo­vo deve tenere con­to di esse come non mai nel passato, e che se gli uomini non si sbrigano decideranno loro, le donne, le femmine co­me e dove pedalare, e soprattutto come abbigliarsi per non far troppo ridere.

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