Rapporti & Relazioni

Nello sport vince la donna

di Gian Paolo Ormezzano

L’altro giorno sono te­lepiombato su una trasmissione televisiva (Rai Sport, nuova direzione di Alessandra De Stefano in Brunel amica mia, che sempre sia lodata per co­me e quanto ama e aiuta il ci­clismo). Era in corso una grande prova di ciclismo in­ternazionale femminile sulle strade del Nord Europa, ma per capire che quelle che pe­dalavano erano creature di sesso decisamente opposto al mio ci ho messo un po’. Ve­lo­cità, scatti e controscatti, guerriglia permanente, acrobazie, spinte, contatti, urlacci: come fra uomini. I capelli lunghi non aiutavano, ormai li hanno anche i maschietti, trecce comprese. Davvero uno spettacolo agonistico bello ed attraente. Mi è ve­nuto in mente il mio amico Mi­chel Platini, conosciuto a Parigi quando ancora doveva venire in Italia a giocarmi contro nella Juventus: lui mi diceva che le donne calciatrici erano bravissime, «giocano in festosità, quasi in allegria, come piace giocare a me», e pazienza se non commettevano troppi falli e non si contorcevano urlando do­po un colpetto alla gamba. Da tempo seguo certe sfide sportive dell’altra metà del cielo con attenzione ammirata, scoprendo fra l’altro che:
1) nella pallavolo le donne, specialmente se si chiamano Paola Egonu, possono essere anche più brave degli uomini, mentre nel basket non de­vono essere mostruosamente alte per avere successo;
2) nel nuoto una Federica Pellegrini dà emozioni ben superiori a quelle rifilateci dai maschietti, intanto che nel “sinc”, sport di fatica bestiale e mossette da vispeterese, gli uomini fanno ri­dacchiare intanto che le don­ne fanno prodezze;
3) nel tennis ci sono donne che giocano divertendo più dei funerei smorfiosi Fe­de­rer, Djokovic e Nadal;
4) nella corsa lunga vale ec­come il pensare che, se ci fossero gare sui 100 chilometri, le donne che sudano me­no e sono più dotate di senso del ritmo batterebbero ma­ga­ri gli uomini;
5) nella corsa breve le don­ne sembrano comunque me­no assatanate e devastate de­gli uomini, idem nei salti;
6) dove conta eccome il tramite (vela, equitazione, tiro) le donne valgono in assoluto gli uomini;
7) sempre e dovunque e co­munque le donne fanno me­no manfrine “sportive” degli uomini;
8) le donne possono anche tirare di boxe e giocare a rug­by, non sono il massimo ma insomma;
0) nella scherma, dove tanto non si capisce niente di dinamica ed esito degli assalti, le donne danno spettacolo co­me gli uomini;
10) auto e moto da corsa se date alle donne possono ma­gari essere usate benissimo;
11) nello sci le donne sono a priori staccate, ma in fondo è peggio per lo sci;
12) tra una donna fisiologicamente mascolinizzata per lo sforzo e un uomo isterico per la recitazione impostagli dagli sponsor, è sempre me­glio la donna;
13) “vestita” da atleta la donna è comunque più bella dell’uomo: si pensi specialmente a tennis, ciclismo (toh), soprattutto beach volley;
14) varie ed eventuali.

Dunque bypasso tutta la polemica definibile come genders, tutte le decisioni o le non decisioni delle federazioni. Chiaro che non spasimo per le sollevatrici di pesi, ma ad esempio nell’atletica le balenottere che lanciano disco, peso, martello o giavellotto sono comunqe meno imbarazzanti degli uomini cetacei. E se ci sono sport che sono nostri, di noi ma­schietti, e amen, le donne possono al massimo passare per velleitarie se proprio li vogliono pra­ticare: casomai dovremmo riflettere su come appariamo noi appunto nella pratica di certe discipline, si pensi alla pallanuoto da bruti o al nuoto “sinc” da si­gnorine.

Si può andare dunque molto lontano, pedalando col pensiero accanto alle donne che pedalano con le loro gambe. Tutto magari in televisione, ma noi non fatichiamo, loro sì eccome. E a proposito di offerta scenica ed atletica, una LongoBorghini sembra davvero soffrire più di un Ganna: e siamo parlando di pedalatori, donna lei uomo lui, nati nel Verbano, in pochi chilometri di lungolago. Il Verbano che ha una paese, Quarna di Sotto, a bor­do acqua, dove si fanno strumenti musicali in legno assai preziosi, e da dove se ne partirono lui e lei, per an­dare a coltivare uve nell’A­les­san­drino, a Castellania, dove misero su famiglia, e uno dei loro figli fu ciclista sommo, Fausto Coppi detto il Cam­pio­nissimo, che pedalava leggero come una libellula. Ecco un altro esempio del dove si finisce pedalando col pensiero accanto alle ci­clistesse di una grande corsa.

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