
Meglio prima o meglio oggi?
di Gian PaoloOrmezzano
U n giorno dello scorso millennio, verso la fine degli anni sessanta, Gianni Brera - grande quasi sempre, quella volta no - profetizzò all’ancor giovane suo aspirante discepolo che ero io che mai quell’Eddy Merckx, pur bravo eccome, già vittorioso in una Sanremo e un Mondiale, avrebbe vinto un Giro d’Italia: «Ci sono le salite, quello lì è un fiammingo e i fiamminghi sono contadini che mangiano troppa greve e non proteinica polenta, proprio come i nostri villici, e poi è troppo pesante». Merckx sapeva di essere pesante, sapeva non di essere tipico contadino fiammingo, visto che era di un paesino nel carcan bruxellese (carcan sarebbe la gogna, nel francese dei belgi fiamminghi di lingua madre fiamminga è la morsa che serrava la capitale, anziché la testa del condannato), di essere di origini placido-borghesi ma di avere una muscolatura straordinaria: e di Giri d’Italia e Tour de France ne vinse cinque più cinque. Brera si capisce rimase per me sommo nonostante quel suo Merckx limitato. E ricordo che proprio a Brera sottomisi - lui mi sapeva votato allo sport del nuoto in prima persona di praticante agonistico battuto facile da un certo Carlo Pedersoli che poi sarebbe diventato Bud Spencer, nonché all’atletica come adepto di una sorta di religione che in fondo era anche la sua -, approfittando delle sua simpatia per me e della sua pazienza, un quesito: sicuro che il ciclismo sarebbe sempre rimasto quello suo, quello degli scorfani, tipo quel Fausto Coppi, che messi sulla sella diventavano parti di una splendida scultura mobile, e non si sarebbe invece aperto ai muscolari, mettiamo i californiani tipo sequoia che a quei tempi spopolavano proprio nel nuoto, tutti muscoli e corpaccioni agili? Sicuro che le salite grandi non agissero a priori in modo deterrente presso i cicistli muscolari, con tutto quel po’ po’ di retorica che i prebrerani e lo stesso grande Gianni avevano messo insieme ed ammollato alle plebi divinizzando gli scalatori tascabili e scheletrici, i camosci delle Alpi (e passi), le pulci dei Pirenei? Credo di essere stato onorato da un suo caldissimo vaffan, giusto premio alla mia sfacciataggine irriverente e curiosità blasfema. Come mi accadde con lui anche altre volte, senza che mai smettesse di onorarmi - ricambiatissimo nel mio piccolo - della sua amicizia.
Bene, adesso vorrei parlare con lui di questi ciclisti sloveni che escono da una popolazione di poco superiore a quella di Milano e improvvisamente vincono tutto (penso che presto si scoprirà qualche loro caratteristica fisica ad hoc, come accadde per le gambe lunghe dei croati fortissimi nel basket, e il figlio del figlio del figlio del ragazzino che scoprì e annunciò che il re era nudo si chiederà come mai questa faccenda non aveva funzionato “prima”), che gli attuali fortissimi belgi e olandesi sono fiamminghi ma nulla hanno dei classici rudi fiamminghi d’antan, che in fondo Lemond era - toh - californiano. E a proposito, un texano muscolare come un certo Armstrong i suoi sette Tour li ha pur vinti, e secondo me da fenomeno atletico ben prima e più che da sacerdote del doping (mica solo lui lo praticava…).
Si aspettano i nuovi inglesi (non più mattoidi alla Simpson), i britanni anzi se si pensa a Elliott irlandese. E c’è un giovane spagnolo che sta spopolando, non dite poi che non vi avevamo avvertiti. E non ci sono italiani anche perché i nostri ragazzi, talora muscolarmente dotati ma anche troppo spesso e troppo presto ipercoccolati, si danno a tanti altri sport del tipo smart, persino al calcio e ogni tanto addirittura con successo.
E non c’è più la maniacale specializzazione, che per anni è stata soprattutto una bufala discriminante: come se uno, forte di muscoli e polmoni e testa, grazie ai rapporti non potesse trasferire la potenza delle sue pedalate alla bicicletta anche in salita e anche se lui pesa un bel po’ di chili. Ma ormai la dea specializzazione è frantumata anche a livello di tipologia del mezzo meccanico: e se uno è forte, soprattutto è ATLETA, fa bene il ciclista dovunque e comunque, nel senso che vince anche sulla mountain bike, sulla bmx, sulla bici da ciclocross, su quella da pista. Non vi dicono niente Van der Poel e Van Aert? E Ganna, uno “de noantri”, enfin? La stessa Parigi-Roubaix con il suo pavé unico non richiede la superspecializzazione, sennò mai l’avrebbe vinta il grande italianuzzo Sonny Colbrelli - che sempre sia lodato - peraltro sacrificando se stesso (sin troppo, forse, e pagando poi un dazio tragico) alle esigenze sceniche di quella corsa-lotteria, con addosso il meraviglioso fango lustrale (massì).
Se volete può seguire dibattito. Meglio il ciclismo di una volta dei poveracci di umile origine, spesso a priori slombati da una povertà atavica vinta con il fachirismo sino a fare miracoli in sella, o quello di adesso dei muscolari serenamente trasferenti la loro forza sul mezzo meccanico? E parlando di giornalismo sportivo, meglio i cantori indulgenti ma appassionati di una volta o gli algidi documentati fisiostudiosi di adesso? Vietato il “boh”.