Staffetta Mondiale, un bronzo per l'Italia del futuro

di Giulia De Maio

Il gruppo che vince. Il ciclismo è uno sport particolare, individuale sì, ma nel quale la squadra svolge un ruolo chiave. È lo sport del “tutti per uno” per eccellenza, ma la maglia di campione del mondo alla fine arriva sulle spalle solo di chi ta­glia per primo la linea del traguardo. Così è per tutte le gare e le discipline che vi possono venire in mente, a parte una. La staffetta mista in cui, giustamente, vengono premiati tutti i membri della squadra. È solo al terzo anno di vita, ma sta facendo scoprire nuove frontiere. Appassiona e piace, soprattutto a noi italiani che in questa prova speciale che unisce i due sessi, come nel doppio misto del tennis e nella staffetta del nuoto, siamo tra i più bravi al mondo. Tre uomini e tre donne a darsi il cambio nella prova a cronometro a squadre, dove conta il tempo finale e non l’exploit del singolo. Vale la prestazione della squadra, pedalata dopo pedalata, anche se puoi permetterti di avere in squadra un certo Filippo Gan­na, due volte campione del mondo a cronometro negli ultimi dodici mesi. Così gli azzurri hanno conquistato il titolo europeo a Trento e pochi giorni dopo si sono meritati il podio mondiale.
A causa della pandemia, l’ultima mixed relay mondiale si era disputata nel 2019 ad Harrogate, nell’esordio iridato di questa prova che ha preso il posto della mai decollata cronosquadre per club, con il quarto posto dell’Italia che aveva lasciato l’amaro in bocca, per quella foratura di Elisa Longo Bor­ghini che aveva consegnato il bronzo alla Gran Bretagna.
Nelle Fiandre i nostri hanno preso parte a una gara combattuta, che ci ha fatto penare fino all’ultimo metro. Da Knokke-Heist, la Sanremo del Belgio (mare e casinò), al cuore di Bruges, erano 44,5 chilometri divisi in pratica a metà tra uomini e donne e l’Italia al maschile aveva chiuso al comando a 55,551 km/h di media. Si sapeva che nella seconda parte avremmo dovuto di­fenderci e così è stato: contro Bren­nauer e Klein (tedesche), Van Vleuten e Van Dijk (Paesi Bassi) non poteva essere altrimenti. Le nostre, dopo una prima parte un po’ complicata, hanno chiuso in crescendo.
Entriamo nel me­rito dei numeri e delle prestazioni dei nostri perché quando la lotta è scandita dalle lancette è a quelle che bisogna fare riferimento. Il trenino composto da Edoardo Affini, Filippo Ganna e Matteo Sobrero ha fatto registrare il miglior intermedio (a metà ga­ra la Germania inseguiva a 19”, la Da­nimarca a 32”, l’Olanda, partita per ul­tima, a 43”), ma risultava sorpassato da tedeschi e olandesi al chilometro 36 con Marta Cavalli, Elena Cecchini ed Elisa Longo Borghini costrette a un fi­nale senza respiro per difendere il po­dio dalla clamorosa rimonta della Sviz­zera.
Nel colpo di reni di Marta Cavalli ci sono i cinque centesimi di secondo che al traguardo ci hanno visto davanti ai rossocrociati della campionessa eu­ropea e vicecampionessa del mondo Marlen Reusser.
«Nel finale siamo rimaste io ed Elisa ed è stata una mia re­sponsabilità ar­rivare al traguardo (il tempo viene preso sulla seconda donna a tagliare la linea d’arrivo, ndr). Non ho parole per commentare questa medaglia, non le trovo. A me rimane l’emozione, la soddisfazione e il mal di gambe» racconta a caldo Marta, la più giovane della squadra con i suoi 23 anni, che così ha cancellato l’amarezza per la gara in linea di Tren­to e un sesto posto che le va stretto. Elisa Longo Borghini non si è risparmiata, pur essendo arrivata in Belgio con legittime ambizioni anche per la gara in linea, nella quale sarebbe risultata poi decisiva nel lanciare la volata vincente di Elisa Balsamo.
«È stata una staffetta molto combattuta. Abbia­mo cor­so be­ne, dandoci cambi fluidi e restando sempre compatte. Sa­pevamo che l’unione era la nostra grande forza» aggiunge la piemontese, al terzo bronzo mondiale in 9 anni.
«Leggendo la starting list eravamo consapevoli che avremmo dovuto mettercela tutta - commenta Cecchini che con i suoi 29 anni, insieme a Longo Bor­ghini è la veterana di questo gruppo che per qualche anno può farci dormire sereni. - Sulla carta c’erano 3-4 squadre che sapevamo essere più forti di noi. È un risultato che ci sprona a migliorarci nei prossimi anni perché è una disciplina che anno dopo anno richiede sempre più lavoro ed esperienza. Agli Eu­ropei è arrivata una medaglia di bravura più che di fortuna, qui mi sono detta che ci sarebbe servita proprio un po’ di fortuna: sa­pevo che anche pochi centesimi avrebbero potuto fare la differenza e così è stato».
Rispetto alla formazione campione d’Europa, è stato inserito Affini al posto di Alessandro De Marchi, convocato invece da Cassani per il mondiale in linea. «Sia­mo riusciti a gestire bene energie e cambi, cercando di essere il più regolari possibile - dice il 25enne di Mantova -. Abbiamo trovato un po’ di vento a sfavore che ha reso più difficile la prova». Tra gli uomini Affini è anche l’unico reduce di Harrogate 2019: quando l’oro sfumò per appena quattro secondi, in maglia azzurra con lui c’erano Longo Bor­ghi­ni, Cecchini, Gu­derzo, Viviani e Martinelli.
Il vento contro è stato un ulteriore ostacolo da superare per Matteo So­brero, campione italiano della prova contro il tempo, perché come ha ricordato Ganna «lui pesa venti chili in me­no rispetto a me ed Edoardo: la sua è stata veramente una grandissima pro­va». Dal canto suo il 24enne di Alba festeggia per essere riuscito a competere con i due corazzieri azzurri senza assolutamente sfigurare: «Il 2021 ha certificato la mia crescita, ho fatto il pieno di medaglie ed emozioni. Non conosco ancora i miei limiti, ma il vero obiettivo personale in questo mondiale era proprio dare una mano nella cronostaffetta a squadre, visto che la prova contro il tempo individuale non era granché adatta alle mie caratteristiche. Non c’era modo migliore per chiudere questa annata».
L’affiatamento nel sestetto non manca. Ganna e Sobrero hanno corso insieme al Pedale Castanese e ormai sono “di casa” visto che Matteo è fidanzato con la sorella di Pippo, Carlotta. Con Edo­ardo li lega una lunga storia di battaglie nelle crono italiane fin dalle categorie gio­vanili. Sulle ragazze non serve di­lungarsi, la prova in linea del week end è da mostrare nelle scuole di ciclismo, anzi sarebbe da inserire nei vocabolari alla voce gioco di squadra. Il merito è collettivo, lo conferma la locomotiva del nostro trenino, quel Filippo Ganna che tutti ci invidiano: «È stata una gara combattuta. Sa­pe­vamo che avremmo do­vuto concludere la nostra prova la­sciando il vantaggio maggiore possibile alle ragazze. Il vento contro si è fatto sentire, ci siamo fatti valere. Un bellissimo risultato di squadra che si aggiunge al palmares».
Il bronzo di Bruges certifica i passi in avanti del sestetto azzurro, come ribadito nel dopo gara anche dai CT. «Pren­dere poco più di due secondi al chilometro dalla Germania è quasi co­me vincere - ammette Dino Salvoldi, re­sponsabile del settore femminile -. C’era il rischio di andare alla deriva, invece le azzurre hanno dato l’anima. Nel giro di 3-4 anni avremo atlete mol­to competitive a cronometro».
Quanto al ct Davide Cassani, all’arrivo delle ragazze gli era scappato un «Noooo» di delusione perché il tempo in sovraimpressione tv non si era fermato. Poi si è rasserenato quando ha vi­sto il numero 2 accanto all’Italia e mancava solo l’Olanda: bron­zo in cassaforte.
«Sono molto felice, questa specialità rappresenta l’unione di due mondi che di solito sono separati. È stato molto bello vedere i ragazzi fare il tifo per le loro compagne. Siamo un gruppo unito».
La sfida adesso è questa: come fatto nell’inseguimento su pista, alzare di stagione in stagione il livello del collettivo. Per trasformare quello che oggi è un bronzo nell’oro di domani.
 

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