Viviani: «Un solo obiettivo, vincere!»

di Giulia De Maio

È ora di tornare in pista. Ar­chi­viato un annus horribilis, Elia Viviani vuole tornare a vincere sia nei velodromi che su strada. Per difendere il titolo olimpico conquistato a Rio 2016 nell’Omnium a Tokyo 2021, alzare le braccia al cielo nelle corse di un giorno e nei Grandi Giri, ma anche inseguire un sogno chiamato Milano-Sanremo, il campione olimpico riparte dal primo amore. Lo fa con i piedi per terra o, meglio, ben fissati sui pedali perché dopo una stagione da dimenticare non ha senso fare proclami ma contano i fatti. Lo fa con al fianco i com­pagni prediletti, quel gruppo az­zurro che è cresciuto alla sua ruota e un treno che deve trovare il giusto feeling per ridargli quella continuità di primato, di cui un vincente come lui non può fare a meno. Il primo anno con la Cofidis è stato avarissimo di soddisfazioni, mai Elia aveva chiuso l’anno a zero successi, ma ora sia lui che il team francese hanno voltato pa­gi­na e sono pronti a conquistarsi lo spazio che meritano.
Ricaricate le pile?
«Sì e già al lavoro a pieno regime. Do­po il Campionato Italiano femminile, ul­timo appuntamento agonistico di Ele­na (la compagna Cecchini, ndr), ci siamo concessi cinque giorni a Bruni­co, assoluto relax in un hotel con spa, piscina e un ottimo ristorante. Natale lo abbiamo festeggiato a Udine con la famiglia di Elena (fidanzati da 9 anni, Elia ed Elena hanno casa a Ciconicco, una frazione di Fagnana, ndr), in vista dell’ultimo dell’anno siamo tornati a Monaco, dopo un doveroso stop in Ve­neto dai miei genitori. Visto il periodo che stiamo vivendo, niente feste esagerate ma ne abbiamo approfittato per trascorrere del tempo con le persone a noi più vicine. Dopo il Giro d’Italia ho pedalato ancora qualche giorno poi so­no stato un mese senza pedalare, quindi ho ripreso gradualmente con la bici da mtb e da strada. Uscite di due orette la prima settimana, di tre la seconda, fino ad arrivare a cinque alla terza, in occasione del primo raduno del team. La squadra ha organizzato un mini ritiro con turnazioni a gruppi di 3 giorni, io ho scelto il turmo centrale e sono rimasto per cinque giorni così da poter incontrare tutti i membri del team. Visto che abbiamo una decina di corridori nuovi, volevo conoscerli personalmente».
Giustamente, sei il capitano.
«Non è stata la stagione che sognavo. Non lo avevo previsto ma non sono mai riuscito ad essere al top. Di solito un Grand Tour mi dà qualcosa in più invece ho sempre viaggiato su un buon livello (altrimenti non sarei riuscito a portare a termine due grandi giri consecutivi), senza mai raggiungere il picco per vincere le corse. La ruota è girata male sempre. Io mi sono preso le mie responsabilità, il team le sue. Siamo ancora più convinti e vogliosi di costruire un gruppo attorno a me. Io non voglio ragionare da individualista, non voglio ritrovarmi a saltare di ruota in ruota come facevo in passato, ma az­zerato quanto è stato, voglio tornare a vincere tanto con i miei compagni. Ab­biamo analizzato quel che abbiamo sbagliato e ci siamo dati una priorità: tenere insieme il gruppo, dentro e fuori la corsa. Per alzare le braccia al cielo quanto prima è indispensabile avere un buon feeling tra noi e disputare il mi­glior calendario possibile. Il team è di­ventato più internazionale, si è rafforzato con corridori d’esperienza come Drucker che arriva dalla Bora, Bohli dalla UAE, Fernandez dalla Movistar. Gente che sa come si corre nel World Tour e ci garantirà un ulteriore salto di qualità».
Una parola per definire il 2020 lasciato alle spalle?
«Elegantemente direi: disastroso. Si­mu­lare il gruppo che avevo alla De­ceu­ninck Quick Step pensavo fosse più fa­cile. Non mi pento di aver cambiato team e, valutando tutto, il problema vero è che con i miei compagni non sia­mo stati insieme a sufficienza. Ab­bia­mo iniziato a costruire il treno nel pri­mo mese di lavoro in Australia, poi per colpa dello stop è stato tutto un ritrovarsi a corrente alternata. Il virus ha complicato le cose. Non voglio trovare scuse ma a conti fatti la stagione 2020 è partita male e continuata peggio, con pochi piazzamenti e zero vittorie. Ar­ri­vavo da due annate con almeno 10 si­gilli a stagione, essendo abituato a lottare per il primo posto quando capivo di non poter essere della partita mi sono rialzato troppe volte, così sono fi­nito spesso perfino lontano dal podio. Non ho svoltato perché non mi sentivo al mio posto».
Il momento più duro?
«Senz’altro il Tour de France. Mi sono ritrovato in una centrifuga, nella quale non capivo più niente. Avevo il supporto di Consonni e Laporte ma non avendo mai provato a “usarli” insieme nei finali concitati non sapevo se seguirli o meno. C’erano solo cinque occasioni per i velocisti e ogni volta che ne sfumava una vi sarete accorti guardando il mio viso che ero tutt’altro che felice. Al Giro d’Italia invece ho avuto una bella reazione. Senza Sabatini e Attilio (il fratello minore, ndr) abbiamo avuto altre complicanze ma me la sono goduta di più. Nel corso del 2020 ho imparato a pensare positivo anche se non vinco».
Voltiamo pagina allora.
«Ho proprio voglia di tornare a correre per andare a vincere ogni gara. Con determinazione punteremo al massimo, sia in termini di quantità che di qualità. Come dico sempre, metterei la firma per vincere la Sanremo e in un anno la Classicissima basterebbe eccome, ma voglio rompere il ghiaccio subito e non fermarmi più. Desidero so­prattutto ritrovare la continuità nella vittoria. Militando in una squadra francese, per cui il Tour è prioritario, attendiamo di vedere i percorsi di tutti i Grandi Giri e quante volate offrirà ciascuno, ma un piano di massima lo abbiamo in mente. Essendo saltato il Tour Down Under abbiamo un paio di settimane in più per prepararci all’avvio di stagione, che do­vrebbe avvenire in Argentina con la Vuel­ta San Juan (la corsa è arischio, ndr). Il primo grande obiettivo sarà la Milano-Sanremo e a seguire la Gand Wevelgem».
Al primo anno con Attilio compagno di squadra, il fratellino ha vinto più di te.
«Infatti dovevate dedicare la copertina a lui (sorride, ndr). È maturato tanto anche se non ha potuto gareggiare quanto avrebbe voluto, d’altronde il Covid ha fatto saltare tutti i piani. Pri­ma spesso dovevo tirargli le orecchie per farlo filar dritto, invece ora è proprio un professionista, sia fisicamente che mentalmente. Nelle categorie mi­nori cercava sempre di limare, di ri­sparmiare energie, da un anno a questa parte ha dimostrato un salto di qualità a tutti gli effetti. Si muove bene in gruppo e ha il giusto spirito di squadra, nelle poche gare in cui siamo stati schierati insieme mi ha reso orgoglioso vederlo prendere il vento in faccia. Al primo anno in una squadra della massima serie ha vinto subito, si è meritato il successo nella prima tappa della Tro­picale Amissa Bongo. Spero per lui questo secondo anno da prof sia più continuo e che possa confermarsi».
E per te, cosa desideri?
«Se devo scegliere una gara su tutte rispondo l’Olimpiade. In generale però vorrei alzare le braccia a qualsiasi corsa senza farmi troppo “fisse”. Dopo una stagione come quella che ho archiviato, mi avvicino con i piedi di piombo a un obiettivo grande come la Sanremo. Devo stare “in scia” finché non torno a quel numero di vittorie che mi permetta di ambire a un obiettivo tanto speciale. Tutte le corse saranno importanti, ma la Classicissima resta quella dei sogni e lavorerò sodo per presentarmi al via al meglio. Se la vincerò, accadrà una volta nella carriera. Ci proverò ogni anno, nonostante tutto, perché non si sa mai. Se non avessi mai creduto di poter vincere ai Giochi Olimpici non ci sarei mai riuscito, per superarla bisogna mettere l’asticella alta. Per quanto riguarda i grandi giri per arrivare in palla a Tokyo se andassi in Francia dovrei ritirarmi prima della fine, come aveva fatto Cavendish nel 2016 quando vinse 4 tappe e poi è sta­to l’avversario da battere ai Giochi di Rio de Janeiro. Il Tour è l’appuntamento chiave per una formazione francese ma finisce troppo a ridosso dei Giochi. Da italiano e in chiave sfida olimpica preferisco disputare Tirreno-Adriatico e Giro».
Come ci si allena, senza sapere come sarà il calendario nel dettaglio e il rischio di una terza ondata che incombe?
«C’è chi sta partendo più cauto, io sto già svolgendo lavori intensi così da es­sere pronto per inizio febbraio. Dall’11 al 21 gennaio saremo in ritiro a Beni­dorm, poi dovremmo volare in Argen­tina. Vi­sto i numeri che aveva raggiunto il contagio quando è andata in scena la Vuelta, mi aspetto un calendario più regolare. Il ciclismo ha dimostrato di sapere gestire molto bene l’emergenza sanitaria. Il protocollo stilato dall’UCI è valido, organizzatori e squadre sono stati costretti a investire più del previsto, ma abbiamo salvato il salvabile. An­cora per un bel po’ continueremo a vivere nelle bolle, a sentire la mancanza del contatto con il pubblico. Il sistema messo in piedi non costa poco, ma funziona».
Come concilierai la doppia attività?
«Riparto dalla pista, ancora una volta. A conti fatti mi è mancata. A 31 anni non mi basta più fermarmi un giorno a Montichiari per una doppia sessione di allenamento tra una gara su strada e l’altra. A 25 anni magari sì, ora devo de­dicarmici maggiormente sia per di­fendere il titolo olimpico sia per tornare a vincere su strada. Il nuovo regolamento UCI ha spostato la Coppe del Mondo in estate quindi non avremo tante gare a disposizione, ma con la Na­zionale faremo più ritiri di almeno 3-4 giorni. Ci siamo riuniti dopo Natale e ci ritroveremo ai primi di gennaio. Il gruppo azzurro per me è un rifugio, ci sto bene sempre. Insieme faremo an­che uscite lunghe su strada perché io, Ganna e Milan dobbiamo poi competere nel World Tour su strada ma sarà fondamentale passare più ore possibili insieme. Il quartetto, come il treno, che funziona è quello tra i cui componenti c’è sintonia, anche giù dalla bici. Se do­po cena ci si riunisce per una birretta vuol dire che il gruppo è affiatato, se ognuno torna in camera imbambolato davanti al proprio telefono allora scricchiola».
Che ne dici del CT Villa miglior diesse dell’anno?
«Che si è meritato il premio che gli ave­te consegnato a fine 2020 e che spe­ro sia di buon auspicio per lui e tutti noi in quest’anno olimpico. Mar­co è mo­desto, è uno che preferisce stare dalle 8 del mattino alle 8 di sera in pi­sta piuttosto che farsi applaudire a una premiazione, ma è un gran lavoratore e il merito di quanto sta facendo l’Italia della pista è suo. Se io ho ispirato i giovani che tante soddisfazioni ci hanno regalato agli ultimi campionati del mondo ed europei, lui li allena quotidianamente. Se vinciamo sia su strada che nei velodromi lo dobbiamo anche alla sua professionalità. Il gruppo che ha modellato è cresciuto come mai avrei immaginato. Lamon e Scartezzini, entrati in Po­lizia, ci garantiscono due pistard sempre pronti. Milan non so se su strada sarà il nuovo Ganna ma è manna dal cielo per Tokyo 2021. Avere due cavalli come lui e Pippo per il quartetto ci permette non solo di ambire a lottare per una medaglia, ma a puntare dritto a quella più pesante».
L’Oscar tuttoBICI potrebbe essere un tuo obiettivo per l’anno nuovo.
«Assolutamente. L’ho ottenuto nel 2018 e 2019, che sono state le mie due migliori stagioni. Tornare protagonista della Notte degli Oscar tuttoBICI significherebbe che sono tornato dove vo­glio».

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