Contro la noia
di Gian Paolo Ormezzano
Uno che sa molto di sport, Luciano Barra, grande dirigente dell’atletica, grande conoscitore del mondo a cinque cerchi e ora, in pensione, scrittore interessantissimo di cose sportive on line su Sport Olimpico, ha definito la Milano-Sanremo ultima noiosissima, per come è stata presentata dalla televisione. Ovviamente si è riferito a tutte le ore offerte dalla Rai alla corsa, non al finale che è sempre e comunque di facile presa, col Poggio e la decisione sul traguardo ambitissimo.
Il problema della noia, in uno sport che fra l’altro si affida molto alla visione di un gruppo più o meno compatto, dentro al quale gruppo magari avvengono cose sensazionali, ma chi le vede?, il problema della noia dicevo esiste, se lo frequenta anche un innamorato del ciclismo quale penso di saper ancora essere. Da ricordare comunque, come doverosa premessa, che una delle teletrasmissioni che maggiormente avvinse il pubblico e meritatamente occupò a lungo i teleschermi fu quel Processo alla Tappa, ancorato al Giro, che manco aveva il sussidio spettacolare del panorama bello e scorrevole, delle riprese dall’alto anzi dall’altissimo (elicottero o aereo), e che però sul palco aveva un Sergio Zavoli…
Il ciclismo non mostra contrasti di atleti, uno contro l’altro, casomai uno sta di fianco all’altro e cerca di non scontrarlo o farsi scontrare, anzi cerca di filarsela via il più avanti o il più distante possibile. Il ciclismo non ha, come invece il calcio, allen-attori, cioè allenatori-attori che a bordo campo interpretano un copione di gesti, spostamenti, anche parole urlate tanto fasullo quanto “bevuto” dal popolo del pallone: questo mentre i calciatori che stanno in campo non sentono nulla, vedono poco, percepiscono niente.
Dal punto di vista dell’immagine complessiva il meglio del ciclismo, volatone da far paura a parte, è un bel panorama che comprende anche il cosiddetto gruppo multicolore. Già quando la corsa passa nei paesi e - sempre meno - nelle città, quando c’è la gente a fare da siepe fra l’asfalto della strada e il cemento degli edifici, le immagini d’insieme sono meno belle. Per finire, il replay o il ralenti nel ciclismo hanno, se riguardano lo sforzo isolato del singolo, scarso valore spettacolare e discutibile valore esplicativo.
Andiamo avanti nella disamina di cosa il ciclismo offre ai telespettatori, ma prima scriviamo che il rapporto con chi sta sulla strada a vedere è di due specie: 1) chi sta lì per affari suoi e viene quasi sorpreso, intanto che bloccato, dalla corsa che passa; 2) chi va lì apposta per veder passare la corsa e ci sta male quando la corsa è sfilata via in un lampo di tempo, cioè sempre. Le grandi montagne sono solo per le corse a tappe, per quelle in linea lo spettacolo massimo è l’orrido della Parigi-Roubaix sulle pietre killer e il terriccio infido, con una lotta balorda e spesso sfortunata contro l’accidente e l’incidente. Sulle salite rischiano di prendersi la scena i tifosi beceri o buffi, se non quelli invadenti e pericolosi che provocano cadute. L’azione del fuoriclasse e lo strazio dello staccato in crisi presentano alla fin fine movenze quasi eguali, spesso solo un esperto distingue i due momenti.
Insomma, la noia esiste eccome, e se non è noia è dispiacere assistendo a certi scempi patiti dal pover’uomo che pedala. Meglio, molto meglio che il gusto sadico di chi aspetta l’incidente in formula 1 o la tragedia in una competizione marinara, ma insomma non siamo ai vertici dello spettacolo insieme avvincente e producente buone, piacevoli sensazioni.
Il ciclismo anche televisivo è una cosa semplice e dura, destinata a occupare sempre meno spazio di interesse in questo porco mondo voglioso di sensazioni forti. E però, per non morire di estinzione, il rimedio secondo noi c’è. Il ciclismo va fra la gente come nessun altro sport, e può usare questa gente, farla parlare, svelare grazie ad essa il bello dell’arte in una chiesetta vicina, il buono di un antico cibo locale, il fascino di una natura a due passi, anche il raccontino dell’incanto semplice della vita quotidiana. Una Milano-Sanremo fatta anche di gente che, in tempi e soprattutto in posti diversi dice la sua può essere è uno straordinario spettacolo teatrale, con il copione sconosciuto ma a priori attraente (e pazienza se ne approfitta qualche pazzo parlante o gesticolante). Ci vorrebbe, ecco, uno Zavoli-bis, ma non per il processo alla tappa, bensì per il colloquio con la gente della strada, spesso trattata solo come gente di strada. Segue dibattito?