Ha vissuto un’estate di profonda, profondissima mea culpa il ciclismo, per non dire lo sport intero, afflitto dall’attuale perversione farmacologica. Pensare, infatti, che la moglie di un corridore ciclista professionista, madre per inciso di tre bambini di 8, 6 e 3 anni, sia stata costretta per un lunghissimo periodo agli arresti in un paese straniero, perché sorpresa a fine luglio alla guida di una auto carica di medicine riconosciute per la massima parte come dopanti, verosimilmente destinate alle esigenze agonistiche del amrito, è da svariati punti di vista allucinante.
È allucinante, se vogliamo chiamare in causa un desueto valore morale, che l’atleta in questione, il lituano Rumsas, sorprendentemente terzo all’ultimo Tour de France e leader della italiana Lampre-Daikin, non abbia sentito il bisogno di presentarsi alle autorità francesi, ed accettare coraggiosamente il loro giudizio e la loro sanzione in merito e permettere di converso - ma sono uomini o caporali, questi ciclisti del 2002 ? - la scarcerazione della giovane consorte Edita ed il suo ritorno a casa: a Lunata, in Toscana, da quei figlioli che non sappiamo più se prime vittime o ultimi alibi di una siffatta sconfortante situazione.
È allucinante, ancora, che la clamorosa e perdurante discrepanza fra le varie legislazioni in materia di doping, così intransigenti in Francia e da due anni discretamente severe anche in Italia, così tiepide o latitanti invece altrove, e di sicuro in Lituania o in Lettonia, non consenta a tutte le latitudini una paritaria valutazione del dolo e dell’eventuale colpa, in materia di doping, sia per il diritto sportivo che per quello civile e/o penale. Tanto da correre il rischio di querelles politiche tra Francia e Paesi Baltici oggi, così come al tempo dello scandalo Festina, al Tour del ’98, tra Francia e Olanda, per la lunghissima garde a vue imposta allora al ‘non collaborante’ team manager della TVM, Cees Priem.
È allucinante, e oltremodo volgare, consentiteci, come si possa invocare, a fronte del sequestro di un plurivalente armamentario farmaceutico (Epo e Gh, ormoni anabolizzanti e testosterone), la scusante patetica, il parafulmine, di una suocera malata di cancro... Al di là del fatto che non conosciamo neoplasie abbisognevoli, così curiosamente, di tutti gli stessi additivi chimici che servono invece a correre più velocemente una cronometro o a scalare meglio il Ventoux, e lasciando altresì agli interpreti malinconici di questa storia la responsabilità di tanto squallore, ci auguriamo tuttavia che la giustizia non perseveri, sia pure nell’ambito limitato dello sport e del doping, e in Francia come da noi, nel perpetrare una inquisizione illogica e fuorimisura. Con il rischio controproducente di fare della ultrafedele moglie al seguito di un ciclista verosimilmente poco leale una (non degna) controfigura di Giovanna d’Arco.
P.S. E a monsieur Franck Guesdon, il giudice istruttore di Bonneville, Alta Savoia, dove al momento in cui scriviamo è agli arresti Edita Rumsas, ricordiamo, fermo restando il dovere di una equa punizione della colpa, il quale oltraggio umano si macchiò il suo collega di Lilla, Keil, il giudice istruttore dello scandalo Festina. Costringendo a ben ‘tremesitre’ di carcere preventivo il medico della squadra franco-andorrana, il belga Rjickaert, nonostante quest’ultimo fosse affetto da un cancro al polmone già in fase di metastasi. (Keil, ne siamo certi, avrà capito, dopo la morte di Rjickaert, che ci sono delle priorità e dei rimorsi imperdonabili, nella vita di un uomo...)
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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