Editoriale
PALLA AVVELENATA. Da «Piedi puliti», di Peter Gomez e Leonardo Coen, a «Palla avvelenata», libro documento di Fabrizio Calzia e Massimiliano Castellani (Bradipo Libri, 224 pagine, 14,50 euro), che mette a nudo il mondo del calcio di fronte alla piaga del doping. Dalla famosa esternazione di Zdenek Zeman («Io vorrei che il calcio uscisse dalle farmacie e dagli uffici finanziari e rimanesse soltanto sport e divertimento», luglio 1998), alle conseguenti indagini avviate dal procuratore torinese Raffaele Guariniello. Un libro che ripercorre e ricostruisce gli avvenimenti degli ultimi anni (dalla chiusura del laboratorio dell’Acqua Acetosa al processo, ancora in corso, alla Juventus) per soffermarsi in particolare, attraverso interviste e ricostruzioni, sui tanti, troppi casi sospetti che stanno minando profondamente la credibilità del pianeta calcio. Quello tanto pulito, quello tutto tecnica e fantasia, quello protetto dai media, abituati solo e soltanto ad avviare inchieste doping sul ciclismo e altri sport più vulnerabili. Il merito di Calzia e Castellani? Essere usciti - in tempi non sospetti - allo scoperto, con un unico obiettivo: fare goal all’ipocrisia.

PRESIDENTI A VITA. Non se ne è parlato molto, forse ai più sono sfuggiti anche i particolari di una vera e propria restaurazione in casa del Coni. La legge Melandri - piena di buone intenzioni e molta demagogia (spazio agli atleti e ai tecnici per decreto ministeriale: perché mai?) - è stata in pratica riveduta e corretta. A fine dicembre il Consiglio dei Ministri, approvando le modifiche al decreto legislativo (243/99) di riforma del Coni, ha quindi varato una nuova era. A parte le norme di vigilanza (il Consiglio nazionale del Coni potrà commissariare una federazione - lo dice il comma E dell’articolo 5 - nel caso in cui non siano garantiti il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive), la modifica legislativa più importante riguarda il Coni, che d’ora in poi diventa «Confederazione delle federazioni sportive e delle discipline associate», in pratica «rafforza l’autonomia del sistema sportivo», come ha avuto modo di dire Mario Pescante.
Ma quello che non quadra, in questa controriforma passata sotto silenzio, è la questione legata ai mandati. Petrucci è passato dall'essere non rieleggibile ad avere davanti a sé la concreta possibilità della doppia conferma. Altri otto anni da aggiungere ai sei quasi compiuti. Ma non è tutto. Per i presidenti di federazione si è pensato allo sbarramento del 55% delle preferenze ottenute al terzo mandato. In pratica Ceruti (che per statuto potrebbe anche fare il suo terzo mandato, perché completi ne ha fatti solo due), al termine del terzo mandato potrebbe andare avanti all’infinito se solo l’assemblea decidesse di confermarlo con almeno il 55% dei voti. Insomma, un bravo presidente, capace di muoversi e raccogliere consensi, diventerebbe in pratica presidente a vita. In linea di principio troviamo la cosa sacrosanta, quello che non ci quadra è questo «sbarramento» del 55% che viene applicato ad un sistema elettivo (quello che prevede i Grandi Elettori: una piccola parte di votanti che rappresentano la totalità dei tesserati e che possono essere agevolmente controllabili e condizionabili) tutt’altro che democratico. Ultima annotazione. Con la riforma i presidenti federali tornano in Giunta: saranno 5 su 7, gli altri due saranno eletti tra «coloro che si sono messi in mostra nello sport». Per la serie: fanno un po’ come pare a loro.

TROVARSI E RITROVARSI. I gruppi sportivi dilettantistici si sono dati qualche settimana fa una nuova struttura associativa. In verità c’era già, ma non era espressione della gran parte del movimento. A onor del vero anche questa nuova Associazione del Ciclismo Dilettantistico (ACD) parte con qualche lacuna: vanta l’adesione di una cinquantina di società, ma lamenta l'assenza di team di chiara fama e peso come la Zalf, la Palazzago, la Grassi, la Trevigiani, la Yomo e via così elencando. Per la serie: i voti spesso non è sufficiente contarli ma occorre pesarli, e noi temiamo che il peso specifico di coloro i quali hanno aderito a questo nuovo progetto non sia proprio elevato.
Ad ogni modo è importante che si sia trovata un’unità di intenti. Non è mai male quando il ciclismo riesce a trovare la forza e il tempo di sedersi ad un tavolo per discutere dei propri problemi, cercando di trovare obiettivi comuni. Adesso, però, incomincia la parte più delicata: dopo essersi trovati è necessario che si ritrovino nei mesi a venire. Non vorremmo mai che, una volta partita la stagione, ognuno torni a pensare solo e soltanto ai propri problemi, limitandosi a guardare ai confini del proprio orticello. Questo sarebbe davvero un peccato.

PROBLEMI TECNICI. Recuperare la centralità del ruolo del direttore sportivo; rimpossessarsi di una visibilità che negli ultimi anni è sempre venuta meno; pensare e varare un contratto unitario, come proposto da Giosué Zenoni. Ma non solo. I direttori sportivi, riunitisi a Rovato agli inizi di gennaio, hanno anche parlato d’immagine, ipotizzando un ritorno delle punzonature.
«Se gli organizzatori creeranno un vero evento, noi siamo ben lieti di portare tutti i corridori un giorno prima della gara», ha spiegato il presidente nazionale dei direttori sportivi Beppe Martinelli al nostro Valerio Zeccato. Consentitemi però un paio di osservazioni puramente «tecniche». Punto primo: se i diesse in questi anni hanno perso il loro ruolo di tecnici, i principali imputati sono proprio loro, che si sono allontanati dai corridori consegnandoli di fatto nelle mani di medici, preparatori e allenatori. Chiedono di tornare ad avere un ruolo di primo piano anche a livello mediatico, senza accorgersi però che gli spazi dedicati al ciclismo stanno drasticamente diminuendo su quasi tutti i quotidiani, ad incominciare da due dei tre giornali sportivi (TuttoSport e Corriere dello Sport).
Pensino quindi a riportare la figura dei corridori al centro del dibattito ciclistico. E per far questo è necessario valorizzare in primo luogo proprio loro: i corridori. Lo ripeterò fino alla noia: occorre proporre un ciclismo di «elite», con poche squadre, pochi corridori e tra questi pochi pochissimi uomini vincenti. Oggi viviamo un ciclismo che crea un effetto marmellata, dove tutto si amalgama e si confonde. Occorre semplificare il calendario, la struttura del ciclismo professionistico, esattamente come l'Uci sta pensando di fare a partire dal 2005 con il varo del calendario «Pro Tour». E sul discorso punzonature che dire: i tecnici sono stati i primi demolitori di questa bella e sacra abitudine. Rifondarla non sarà facile. Mettano in conto che per qualche anno alle punzonature ci sarà poca gente. Occorrerà la buona volontà da parte di tutti: organizzatori, tecnici e corridori. Urge tornare alla gente, sperando che nel frattempo gli sportivi abbiano voglia di tornare.
Pier Augusto Stagi
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