Un comitato per la resurrezione del Mortirolo
di Cristiano Gatti
Certe cose è meglio dirle prima, in tempi non sospetti, perché altrimenti rispondono che a criticare dopo sono capaci tutti. Siamo a febbraio, mancano tre mesi al Giro d’Italia, come anticipo può bastare? Bene, allora veniamo al dunque. Praticamente vorrei qui recitare un solenne e commosso de profundis a un caro estinto ancora fresco di sepoltura: il Mortirolo. La vicenda è nota: nel pieno dei suoi anni, la più impervia e affascinante montagna del ciclismo mondiale è caduta vittima di un’imboscata. Un colpo secco e buonanotte, addio a una gloriosa storia ancora tutta da gustare. L’indagine per identificare i colpevoli non ha richiesto grossi sforzi: rei confessi, anzi compiaciuti dell’insano gesto, gli organizzatori del Giro si sono assunti tutte le responsabilità. La condanna è scontata, incerta la pena: equa e adeguata sarebbe quella di un bel crollo degli ascolti e dei conseguenti introiti pubblicitari. Per la sentenza bisognerà comunque aspettare la metà di giugno, a dibattimento completato. Per il momento, null’altro da segnalare: il caso è chiuso, ispettore Callaghan.
Adesso mi piacerebbe soltanto che qualcuno aiutasse a capire. Allora: abbiamo la salita più tremenda del mondo, macchine in ebollizione e ciclisti col piede a terra, più di centomila persone ogni anno lungo i malefici tornanti, scenari epici di un ciclismo che ormai non c’è più, tanto meno al Tour, dove ormai la salita deve essere almeno a quattro corsie per farci passare il mastodontico ambaradan. Di più: questa montagna, così perfida e così esaltante, è a pochi chilometri da Milano, cioè dal traguardo finale, ring ideale regalato dalla natura per il round decisivo, i primissimi della classifica l’uno contro l’altro, senza giochi di squadra, senza calcoli, senza furbate, le residue energie tutte in strada, per il colpo del ko, quello fatale, che non prevede conteggio e ipotetiche riscosse, e che fra parentesi garantisce percentuali televisive da mondiali di calcio. C’è veramente tutto, come dimostrano peraltro le ultime edizioni, per tenere alta l’attesa e la tensione fino all’ultima tappa milanese, perché non c’è cronometro, non ci sono passi alpini, non c’è più nulla in questo ciclismo, capace di tenere veramente aperti i giochi e gli incubi notturni come riesce al Mortirolo.
Con questo bendidio fra le mani, un organizzatore appena normale si attrezza un minimo per valorizzarlo. Dico le prime cose che mi vengono in mente: numera i tornanti più feroci e assegna a ciascuno il nome di un grande del passato, mette in palio cinquanta milioni a chi stabilisce il nuovo record e cinquanta a chi comunque scollina per primo. Voglio rovinarmi: coinvolge uno sponsor del ramo, citiamo pure la Sector, che premi queste speciali classifiche riservate a corridori estremi, avventurosi, epici, insomma fuori dalla regola e fuori da ogni calcolo. Diciamo semplicemente un po’ fuori. Un organizzatore appena normale, senza troppa fatica e senza sforzi di fantasia, costruirebbe cioè nel tempo un avvenimento nell’avvenimento, una corsa nella corsa, un evento nell’evento. Invece gli organizzatori del Giro, che evidentemente devono avere del genio, dopo aver costruito negli ultimi anni un piccolo «must» decidono all’alba di una nuova edizione l’assassinio in culla della creatura più bella. Una croce sopra e via il Mortirolo: come la tappa di Isernia o di Rapallo, che differenza c’è?
È fuori discussione: hanno del talento. Ma come li fanno? Ma dove li trovano? Poi ovviamente piangono quando scoprono che magari la platea preferisce il Tour, concludendo vittimisti che gli italiani sono esterofili e provinciali. Provinciali e piccini sono loro, organizzatori che non vedono più in là della loro scrivania, che mettono sullo stesso piano il Mortirolo e il Monte Campione, spiegando risentiti che sono tutte e due salite. Certo: anche Ullrich e Santaromita sono tutti e due ciclisti.
Ho sentito dire che il Mortirolo non c’è più perché è insicuro. Sorry: ma allora negli ultimi anni ci avete mandati tutti al massacro senza dircelo? Altri spiegano che per convincere Zuelle a venire bisognava levargli l’incubo della verticale. Spero sia solo uno scherzo: un Giro d’Italia elimina il suo mito per uno che si chiama Zuelle? Se è vero, è giusto che quanto prima il Giro chiuda e diventi una pizzeria. E garantito: se fossi nella Rai avvierei subito un’azione per danni. Ma come, finalmente riesco a riprendermi la corsa più bella, ci investo soldi e uomini perché so di giocarmi la reputazione, e loro che fanno, mi tolgono la giornata dei botti?
Nell’attesa di cose grosse, nel mio piccolo fondo qui sul posto, seduta stante, un romantico Comitato per la resurrezione del Mortirolo. Senza fini di lucro, tragicamente squattrinato, il Comitato si batterà in ogni sede perché il crimine incompiuto non passi sotto silenzio e non resti impunito. Sono graditissime le adesioni. Noi del comitato non abbiamo alcun potere: ma sappiamo benissimo come si rompono le scatole al potere.
Cristiano Gatti, 40anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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