Rapporti&Relazioni
Doping, continua la farsa
di Gian Paolo Ormezzano

Il laboratorio dove sono state fatte le analisi della pipì di Paola Pezzo è quello di Parigi, lo stesso dove recentemente sono stati scoperti casi di doping anabolizzante per quattro calciatori francesi di serie A. Se si fa la morale a Paola Pezzo bisogna farla anche al calcio, oltre che a quei calciatori. Perché il calcio sin qui è riuscito a far credere che il problema del doping gli sia estraneo, con motivazioni lì per lì convincenti, anche se furbette e non etiche.
Precisazione: non parliamo di calcio per non parlare anche noi di Paola Pezzo, ma parliamo di calcio perché, se è giusto che il ciclismo paghi tutto quello che deve pagare, non è giusto che funzioni anche da parafulmine per altri sport, da candeggina per altre situazioni. La scoperta, la denuncia del laboratorio di Parigi ha fatto sapere che, contrariamente al postulato per cui il doping al calcio non serve, mettere su muscoli è utile eccome, nel gioco moderno che è sempre più fisico, nel gioco moderno che è sempre più veloce, nel gioco moderno che è sempre più sfibrante, con impegni tesi e ravvicinati, ogni partita una svolta, una sentenza. Il calciatore moderno trova aiuti nel doping anche semplicemente per allenarsi, per sostenere certe fatiche senza palla, in fase di preparazione.
Si dice: trattandosi di un gioco, bisogna tenere conto dei compagni, degli avversari, in un complesso sofisticato rapporto di equilibri, e il doping rischia persino di essere controproducente, con la sua azione volgarmente muscolare. Balle: se tutti assumono un certo prodotto, i rapporti vengono ristabiliti, semplicemente su un livello più alto di rendimento fisico.
Ma allora, nel calcio tutti prendono prodotti proibiti? Secondo noi, prendono prodotti tesi ad aumentare artificialmente le prestazioni.Alcuni di questi prodotti possono non essere (non ancora) doping, la lista dei divieti è lunga ma incompleta.Quanto all’antidoping, ri-ri-ricordiamo che nel calcio è quasi sempre una farsa. Magari c’è da prendere un aereo, e allora ecco che viene estratta la pallina che dice che no, quel giorno non si deve perdere tempo per fare pipì. Pallina nera, e nessuno controlla l’altra pallina, per scoprire che è nera essa pure. Lo hanno detto gli arbitri in un loro convegno, non siamo noi a malignare.
Troppi sport sono senza un serio antidoping, che dia almeno qualche garanzia.Ci sono magari scoperte improvvise di calciatori o altri atleti positivi per prodotti abbastanza strani, ma sembra sempre un caso, una provetta trattata da mano improvvida.Opuò esserci un bersaglio che è insieme importante e distraente, e si chiama Maradona. Ma non c’è un piano, non c’è la cosiddetta volontà politica. E così il ciclismo ha fatto anche quest’anno un regalo di Natale al resto dello sport. Sulla propria pelle, anzi sul suo Pezzo di pelle più importante: e purtroppo non si tratta di un gioco di parole.
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L’anno scorso il Giro d’Italia patì eccome la mancanza di campioni stranieri, anche se la cosa finì per essere utile nell’invenzione (da invenire, latino, cioè trovare) di un campioncino italiano, Ivan Gotti che sempre sia lodato. Quest’anno sembra che il Giro non voglia correre lo stesso rischio, e cerchi ogni giorno qualche sì importante. Questo nello stesso anno in cui il Tour comincia più tardi del solito, e in Irlanda, per non incocciare nelle ultime partite del campionato del mondo di calcio, che si gioca appunto in Francia.Apensarci bene, il Tour prende una bella botta, e lo ammette.Vestito o travestito sempre da assoluto naturale, il Tour sembrava poter ignorare qualsiasi concorrenza, sembrava poter essere al di sopra e al di là del bene e del male, insomma sembrava potersene fregare di tutto e di tutti.Non che sia il momento buono, per il Giro che vuole colpire il Tour: e questo per la semplice ragione che tale momento non deve mai esistere.Però il Tour ha «bucato» e il Giro può approfittarne per andare in fuga. Nel ciclismo è lecito, talora è addirittura doveroso.

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Aproposito del Giro: per un Tour che comincia in Irlanda, un Giro che comincia in Francia, a Nizza, girovagando per quelle che sono chiamate «le Alpi del Mare», fra la Provenza, il Piemonte e la Liguria.Queste avventure ci fanno venire in mente che forse è il caso di tirar fuori dai cassetti il Giro d’Europa, di cui è stata tentata quarant’anni fa una sola edizione seria, al tempo di Roger Rivière (e di Pippo Fallarini, l’italiano quasi eroe di quella corsa).Probabilmente l’idea sta sotto brevetto, ma se trattasi di vincolo bloccante basta cambiare nome, per esempio «Corsa all’Ecu» e tutti capiscono, tutti corrono.

Gian Paolo Ormezzano, 61 anni, torinese-torinista,
articolista di “Tuttosport”
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