Gatti & Misfatti
Spettabile Rai... pochi ma buoni
di Cristiano Gatti

Facciamo finta che il Laigueglia sia solo una falsa partenza. D’accordo, era un’occasione altamente simbolica, perché sanciva solennemente il ritorno della Rai nel ciclismo: ma si sa che l’ironia del destino si accanisce proprio in queste occasioni vagamente emozionanti, come la febbre nel giorno della laurea, o come lo schizzo di sugo sulla camicia della ganza la sera del primo incontro galante. I problemi tecnici col satellite ci stanno sempre, inutile farla tanto lunga. Peccato soltanto che si siano presentati proprio il giorno della prima, facendo saltare la telecronaca inaugurale della nuova era. Ma è una disgraziata coincidenza. Bisogna fortemente credere che sia soltanto una disgraziata coincidenza.

Adesso siamo già in piena stagione di rivincite. Dopo le classiche, si profila all’orizzonte il vero esame, quel Giro d’Italia che la Rai ha rivoluto a qualsiasi costo, dopo la felicissima (superlativo alla Davide De Zan) epoca Mediaset. Diciamolo subito: nessun pregiudizio, nessuna prevenzione, nessuna diffidenza. Andiamo a vedere che cosa davvero la rete pubblica riuscirà a confezionare, poi spariamo giudizi. Ma è inutile accendere il televisore mettendo subito le lenti deformanti del servizio pubblico «sfasciato e cialtrone». Dobbiamo stare sereni e osservare. Certo, la Rai si porta dietro il peso dei suoi crimini: quando lo consegnò alla Fininvest, il ciclismo era ormai una povera cosa tenuta in vita con respirazione artificiale. Ma tutto questo è lontano: la salutare lezione di Italia Uno è servita a rianimare il ciclismo, ma anche a scuotere la Rai. Non c’è come perdere qualcuno o qualcosa per capire quanto manca.

Bentornata Rai, senza rancore e senza problemi. Al limite, solo toccando un po’ ferro. Vediamo magari di controllare acqua e olio al satellite prima di metterci in movimento. Ma per il resto vada serena e giochi la sua partita. Già si sa che il palinsesto sarà copiato pari pari da quello consolidato nella gestione Mediaset: amenità mattutine, telecronaca lunga, Processo alla tappa (corteggiatissimo Sergio Zavoli, come se si potesse tornare indietro nel tempo), quindi rotocalco serale, infine riepilogo notturno per chi si presenta a casa molto tardi. Come quantità, ce n’è fino all’esaurimento. Per la qualità, bisogna solo aspettare di vederli all’opera. Personalmente sono convinto che la Rai abbia due armi in meno e un’arma in più. Le due armi in meno: agilità e freschezza. L’arma in più: Adriano De Zan.

Se dovessi dire chi più di tutti è uscito rigenerato dal lungo esilio, non esiterei a fare proprio il nome di Adriano. Dopo decenni di monopolio era arrivato stanco e svuotato al capolinea degli anni Novanta. Sembrava finito. Ma tutte queste stagioni ai margini della diretta, invidiando il figlio che si spupazzava la sua creatura, gli hanno riacceso dentro la turbina. E adesso è ancora qui come nuovo, perfettamente integrato dal ragionier Davide Cassani, da parte sua preciso e tenace sui dati tecnici come uno svizzero-giapponese. Abbiamo una bella coppia, lo sappiamo perché l’abbiamo già testata negli ultimi Tour, dove peraltro lavorava con mezzi di fortuna (anche se è in queste situazioni che emerge il talento). E su questa coppia la Rai può costruire la sua rivincita, sempre che abbia il coraggio di affiancarla con bravi gregari, consapevoli del proprio ruolo, consapevoli di non doversi allargare oltre i propri limiti. Avrà questo coraggio? O sceglierà come tante volte in base ai meriti sindacali e nepotistici di sprovveduti che vogliono soltanto esserci, che vogliono soltanto andare al Giro perchè fa il giornalista un po’ più chic?

Io ho un solo timore: che per far dimenticare Mediaset la Rai punti esclusivamente sui grossi numeri. Tante ore di programmazione, tanta gente al seguito. Già le avvisaglie della presentazione invernale sono sinistramente indicative: i responsabili sono saliti sul palco parlando di grandi sforzi organizzativi e di spedizioni massicce. Forse è una soluzione. Ma proprio il ciclismo ha più volte dimostrato che non serve una folla di inviati al seguito per raccontare lo spettacolo. Il ciclismo non è una guerra da combattere con divisioni di carrarmati. È meglio la guerriglia, con pochi soldati scelti e pronti a tutto. I carrarmati s’impantanano, gli assaltatori colpiscono e si spostano subito su un nuovo obiettivo. Perché il ciclismo è sfuggente e imprendibile, per sua stessa natura non sta mai fermo nello stesso posto e non offre mai le stesse storie.

Spettabile Rai, le sue spettabili maestranze sono le benvenute. Però accetti solo una richiesta. Nella scelta dei nomi, se possibile, veda di adottare un criterio selettivo d’avanguardia. È un metodo nuovo e rivoluzionario, anche se già abbastanza affidabile e sperimentato in varie parti del mondo. Dice così: pochi, ma buoni.

Cristiano Gatti, 41anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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