LUTTO | 04/02/2017 | 15:31 Stamattina, al foglio di firma, non si è presentato. Dopo centouno anni e mezzo di vita rotonda, ha marcato visita. Ritirato, abbandonato, fuori tempo massimo? Si è staccato il dorsale.
Trento Montanini era una bicicletta in anima e corpo. La nascita: il 3 agosto 1915. L’immatricolazione: senza fretta, qualche tempo dopo, c’era la Prima guerra mondiale. La famiglia: ottimista, lui sarebbe stato il primo di otto figli, sette maschi e una femmina, e patriottica, lui battezzato Trento, il secondo, del 1918, Trieste. L’origine: lo dice il cognome, gente montanara, del Frignano, Appennino modenese. Lo stampo: il nonno di Trento era venditore di cioccolato e materassaio, il papà faceva il calzolaio. L’amore: il primo fu la bicicletta, e con quel fisico scattante, agile, smilzo, Trento sarebbe diventato, nel suo piccolo (chissà se qualcuno lo chiamava Trentino), scalatore. Il lavoro: controllore, settore energia elettrica, in bicicletta. Il contro lavoro: direttore sportivo della Pavullese.
Bicicletta e ciclismo: che epifania, che epopea, che epica. Trento raccontava di come al Giro d’Italia del 1928 ci fosse anche un corridore pavullese, Giuseppe Mazzini, detto Peppino, senza squadra, dunque un isolato, ma con il senso dell’avventura. Mazzini – pensiero e azione, anche lui, nel suo genere - corse le prime due tappe, alla terza spedì un telegramma in paese, implorando "Mandatemi cento lire che torno a casa". Gliele mandarono. E Peppino tornò a casa. Al bar gli domandarono: e Binda? Peppino non doveva essere mai stato in testa al gruppo e alla corsa. Infatti rispose: "Binda? Mi hanno detto che c’era".
Bicicletta e ciclismo: che sensazione, che emozione, che redenzione. Trento raccontava di Romeo Venturelli, Meo, di Sassostorno di Lama Mocogno di Pavullo nel Frignano, di come fosse stato scoperto, “spilungone” lui e “baraccone” la sua bici, del suo talento e soprattutto della sua follia, di quando andò a piedi al Santuario di San Lucaperché lo aveva promesso alla Madonna in persona in caso di vittoria di Meo (e Meo aveva vinto), di quando al mare Meo scoprì le donne, di quando lui e Meo andavano alle corse in Lambretta, Trento davanti che guidava, Meo dietro con la bici in spalla, di quando Fausto Coppi si recò a Pavullo per conoscere Meo, pedalare con lui e ingaggiarlo nella sua squadra, di quando Meo stava per conquistare il Giro del Lazio, in fuga, tutto il giorno, da solo, pedalando con i mocassini, e poi, a poco dal traguardo, forò. Bicicletta e ciclismo: che tapponi, che campioni, che passioni. La corsa è ripartita, anche stamattina, tra speranze e sogni, tra coriandoli e farfalle, tra borracce e borraccini. Ma Trento Montanini, in gruppo, non c’è più. Marco Pastonesi
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