LIBRI | 24/12/2016 | 08:07 Era orgoglioso, permaloso, testardo. Era grintoso, battagliero, agguerrito. Era irrequieto, irruente, irriducibile. Era atleta, ciclista, corridore. Un corridore vero. E un uomo libero.
Cleto Maule: che veniva da Gambellara, nel Veronese, dove anche la terra sa di uva e di fatica, e da una famiglia con padre, madre e sette figli, quattro maschi e tre femmine, più la nonna, e da una casa con laboratorio di falegnameria, un mestiere ma anche un’arte di famiglia, e da polenta d’estate e polenta d’inverno, e da una bici da bersagliere adattata a bici da corsa, e poi finalmente da una bici da corsa, una Chesini, roba buona veronese, marchio storico italiano. Maule che, in bici, inseguiva non gli avversari ma i sogni: sognava Bartali e Coppi, sognava partenze e arrivi, sognava traguardi e vittorie. E la vittoria giunse alla prima corsa, a Sorego di Lonigo, “andava come il vento”, nel ricordo di chi c’era, e pensare che in salita aveva rotto addirittura la catena.
“Nel ciclismo c’era un uomo libero: Cleto Maule” è la sua storia, scritta da Romano Gelati, un geologo che a forza di studiare la terra sembra avere acquisito il dono di approfondire, esplorare e conoscere anche i terrestri, pubblicata dalla Fabbrica interattiva di Milano, 272 pagine e tante foto d’archivio e di famiglia, che sono un atto di amore, tant’è che “eventuali contributi, coperti i costi di realizzazione, saranno devoluti in beneficenza”.
Gelati resuscita l’infanzia di Cleto a Gambellara, ne ritrova i compagni di strada (Barro e Uliana, il “gemello” Aldo Moser, poi Padovan, Cestari, Giusti, Massignan, Cerato, Baldini, Ferlenghi e Bartolozzi), ne ripercorre le tappe di una carriera che fra l’esordio vittorioso alla Milano-Torino del 1955 e il tramonto improvviso all’inizio del 1961, quando all’ingaggio di Learco Guerra per la Vov si sentì costretto a preferire il lavoro dal suocero, regalò momenti di gloria e un giorno – quello del Bondone, Giro d’Italia 1956 – da apocalisse.
E’ una storia novecentesca, è un’avventura corsara, è un romanzo cavalleresco, dove i corridori cavalcano biciclette alate dalla magia o ancorate dalla stanchezza. E se di tutti gli episodi, di tutte le sfide e di tutti i duelli ce ne fosse uno, uno solo, per capire Maule, allora questo (pagina 134): “A Lonigo, nelle vicinanze di casa, Cleto dopo avere vinto il traguardo a premio, saluta gli amici e poi si ferma a una fontanella che conosce bene e che gli è fedele amica nelle galoppate d’allenamento. Rientra in gruppo e con la borraccia piena e offre da bere alla compagnia. Ma non divide le cinquantamila lire guadagnate, questo no”.
La passione per il ciclismo, che nell’istante dell’addio al professionismo non si era esaurita né era evaporata, si riaffacciò prepotente: Maule tornò in sella da amatore e da veterano, per se stesso e con gli amici, una banda per scorribande, e non c’è stata salita o marciapiede, frattura o coma, capace di frenarlo o fermarlo. I suoi comandamenti, collezionati alla fine del libro, ne illuminano il carattere bellicoso e i comportamenti irascibili: dal primo, “E’ sempre uno che vince, perciò non fidarti mai di nessuno, tira diritto e apri bene gli occhi”, fino all’ultimo, “Se l’unione fa la forza, di tutte le tue forze devi fare l’unione; coraggio, coraggio, sempre più coraggio, mai paura, sempre avanti e non arrenderti mai. Chi la dura la vince”. Maule era un duro.
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