PASSIONE MARTINELLI

PROFESSIONISTI | 28/11/2016 | 07:33
A casa Martinelli si è sempre mangiato pane e ciclismo. In verità io ho il privilegio di mangiare anche dell’altro, di molto buono e preparato come sempre con amorevole cura da Anna, moglie di Beppe, mamma di Francesca e Davide, ora nonna di Leonardo.
A casa Martinelli il ciclismo è companatico che riempie ma non sazia mai. Si ha sempre fame di ciclismo, proprio come chi non fa a meno di mettere le dita nel barattolo della nutella. Ci si trova ogni anno, a fine stagione da an­ni. È ormai una tradizione. All’ini­zio c’era anche Marco, ora ci si trova nel suo ricordo. Si parla di biciclette, si fa il punto sulla stagione appena andata in archivio. Quest’an­no però c’è una no­vità in più: non solo Astana, ma an­che Etixx. Non solo Beppe, ma anche Davide, che ha appena concluso il suo primo anno da professionista.

«Sono contento e soddisfatto per la mia stagione d’esordio - dice il ragazzo di Lodetto -: 52 giorni di corse con due vittorie. Una al Tour La Provence e l’altra di World Tour al Giro di Po­lonia (davanti a Fernando Gaviria e Ca­leb Ewan, ndr). Ma non male sono stati anche i piazzamenti ottenuti ai tricolori: 6° nella prova a cronometro vinta da Manuel Quinziato e 11° nella prova in linea vinta da Giacomo Nizzolo. Come primo passo nel mon­do del professionismo non è poi male…».

«Ma il difficile viene adesso - s’introduce veloce papà Beppe -. Al primo anno nessuno ti chiede niente, adesso che ci hanno fatto la bocca buona e ce l’hai fatta, anche tu dovrai alzare immediatamente l’asticella. Ma se c’è chi ci ha fatto la bocca buona, c’è chi ha le scatole che gli girano: i tuoi av­versari, per esempio. Se li hai sorpresi perché eri un signor nessuno, adesso ti marcheranno perché qualcosa sei e hai fatto, quindi non sarà per niente facile».

Beppe, sei terribile: uno deve anche po­ter godere di quello che ha fatto…
«Difatti siamo tutti molto soddisfatti e contenti di quello che ha fatto vedere al suo primo anno Davide, ma è anche giusto che sappia che la vita del corridore non è assolutamente semplice. Ma una cosa la devo dire e a Davide lo devo riconoscere: ha grande passione e fa il lavoro come deve essere fatto. Non per niente un tecnico bravo e come Da­vi­de Brama­ti, uno dei più apprezzati in assoluto, non solo lo segue con attenzione ma è il primo a ripetergli di continuo “non allenarti troppo, mi raccomando recupera”. Perché Da­vi­de è uno che fa sempre qualcosa di più, mai di meno».

Davide annuisce e interviene.
«È proprio così, il Brama è il massimo che si possa pretendere. È preparato e appassionato come pochi e de­vo dire che sa seguire i giovani corridori con grande attenzione. Lui mi chiama tutti i giorni: telefonata o tre quattro messaggi vocali con Whats­App da 30”. Lui deve avere sempre la situazione sotto controllo. Con tutto rispetto per mio papà, che è il numero uno per i Grandi Giri, e per la sua Astana, io penso di essere finito nel team migliore del mondo, con uno dei tecnici più preparati in assoluto. Moltissima professionalità, ma anche tanta serenità».

Sarà anche per via delle tante vittorie ottenute quest’anno: 54 sono un buon bottino…
«Vero anche questo - conferma Da­vide -, l’anno è stato davvero bello e ricco di soddisfazioni, ma chi è stato in Etixx e oggi è in altri team, mi ri­petono: non potevi finire meglio. Ba­sta vedere come si rapporta con noi il capo. Lefe­vere non fa la prima don­na, è uno che chiede impegno e professionalità, ma non si pone mai sul piedistallo: è sempre con noi, al no­stro livello».

Martino ha anche una spiegazione: «È un blocco collaudato, che lavora da anni assieme. Che si conosce e si stima - dice -. Molti di loro si sono conosciuti ai tempi della Mapei e an­cora oggi lavorano assieme: è il gruppo di Patrick. Questi non sono aspetti secondari e alla fine fanno la differenza».

BAHREIN E NIBALI
Questa tua considerazione è per me un bellissimo assist: per questa ragione hai deciso di restare in Astana?
«Guarda, alla fine è proprio così - ci spiega Beppe -. Ci ho pensato almeno tre mesi, poi ho preso una decisione che è stata tutt’altro che semplice. Da una parte c’era il desiderio di proseguire un discorso iniziato con uno dei corridori più forti che io abbia mai incontrato, forse il più forte assieme a Marco (Pantani, ndr) e per certi versi anche più forte. Dall’altra una squadra, dei corridori come Fabio (Aru, ndr), una famiglia, un ambiente come quello dell’Astana in cui lavoro da sette anni e nel quale mi sento davvero come a casa mia: non è facile staccarsi. Non è stata una scelta semplice, tutt’altro, ma alla fine ha prevalso il desiderio di proseguire un lavoro già iniziato. Alla mia età, seguendo Vincenzo, mi sarei trovato a dover lavorare tre volte di più. Una squadra nuova non è facile da lanciare. È sicuramente un’esperienza bella e stimolante, ma lo ripeto, a sessant’anni ho preferito proseguire per la mia strada. Mi spiace mol­to dover rinunciare ad un corridore e un ragazzo come Vin­cenzo, con il qua­le ho lavorato benissimo, proprio perché Enzo non ti mette mai a disagio, non ti mette mai sotto stress, per questo è davvero eccezionale, però lo ripeto, lanciare un team nuovo di zecca non è cosa semplice».

Non sarà facile nemmeno affrontarlo al prossimo Giro d’Italia…
«Non mi dire niente. Quando ci penso mi viene già l’ansia, sarà come dover scegliere chi buttare già dalla rupe tra Vincenzo e Fabio. Cosa brutta. In ogni caso lo sa bene anche Fabio, sfidare Vin­cenzo non sarà una passeggiata. Spesso si tende a sminuire quello che ha fatto, a non comprendere fino in fondo quello che Nibali rappresenta per il ciclismo e la storia del nostro sport. Con lui ci troviamo davanti a qualcosa di grande. Sempre».

Qualcosa di grande l’ha fatto al Giro e avrebbe potuto farlo anche a Rio…
«Lo stava facendo ai Giochi. Ma lo sport è così: sull’Agnello per una caduta ha vinto il Giro, a Rio sempre per una caduta ha perso un oro quasi sicuro. La gente spesso ha difficoltà a ri­cordare, ma Vincenzo è in credito con la fortuna. Per una caduta ha perso il Mondiale di Firenze, l’oro di Rio e almeno un Lombardia. A dire il vero per una vespa ha perso anche una Vuelta… Beh, diciamo che ha dato».

Eppure, ad un certo punto del Giro, sembrava che tutti voi aveste perso la fiducia…
«Se dobbiamo dirla tutta, Shefer e Slongo ed io no. Personalmente continuavo a dire: Vin­cenzo non è quello che conosciamo e gli altri stanno an­dando a tutta. Pos­siamo fare ancora qualcosa di buono. Ma è innegabile che senza la caduta di Kruijswijk non saremmo qui a parlare di una vittoria al Giro. L’Agnello è stato il giorno della svolta. Ha avuto la fortuna e la capacità di cogliere quell’opportunità per riaprire ogni discorso. Poi il giorno dopo ha fatto il Nibali: Vincenzo quando sente profumo di vittoria difficilmente sbaglia bersaglio».

Tu continui a dire che sei un diesse che fa parte del passato…
«E lo confermo. Piva, Bramati, Baldato e ne cito solo alcuni, fanno parte del presente e anche di un futuro prossimo molto radioso. Sono perfettamente dentro al loro mondo, io faccio ormai parte di un al­tro ciclismo. Però penso di essere tra i pochissimi in grado ancora di leggere una corsa e una situazione in un certo modo. Quando vado a visionare un percorso o una salita, non mi limito ad osservare le pendenze, lo stato dell’asfalto, le curve e la discesa, ma ragiono su come fare per provare a far saltare il banco. Provo a vedere se quella salita o quella discesa può essere utile ad un discorso tattico più globale. Diciamo che qualcosa posso ancora dare e dire. Poi se si hanno corridori come Marco, Alberto (Contador, ndr) e Vincenzo allora il lavoro di un tecnico si semplifica di molto. Oltre alle idee ci vuole chi ha istinto e intuito per mettere in pratica quello che tu gli prospetti. Io mi sento come un regista che ha davanti a sé grandi interpreti, dei grandi artisti: io aiuto a realizzare capolavori. Ma non sono l’artefice di quelle opere. Sono loro quelli in grado di realizzare i miei sogni. Le mie intuizioni. Spesso hanno dato forma anche alle mie follie».

Parli di Vincenzo con immensa ammirazione: Fabio potrebbe aversene a male.
«Fabio è il primo ad aver bene in men­te quello che è e vale Vincenzo. È il primo ad averne la massima stima, e quando dice che gli dispiace che vada via non fa quello che deve dire una cosa per quieto vivere. Un Vincenzo an­cora per un anno, almeno, ci avrebbe fatto molto comodo e lui lo sa bene. Fabio è un ragazzo molto intelligente, non gli devi spiegare nulla. An­che quando magari non ci si trova sullo stesso punto di vista, basta discuterne assieme, parlarne. Certo non devi mai commettere l’errore di fargli cadere la cosa dall’alto e dirgli che quella cosa va fatta così per partito preso. Lo mandi in bestia. Lui vuole capire, comprendere e condividere la strategia il programma».

Avete parlato di questa stagione non esaltante?
«Certo che sì. Al Tour era al suo esordio e c’eravamo andati con l’obiettivo di fare esperienza e ottenere il massimo. È arrivato sino ad occupare la se­sta posizione in classifica generale, do­po un brillante terzo posto nella cronoscalata di 17 chilometri da Sallanches a Megeve. Poi ha vissuto una giornataccia nell’ultima tappa di montagna, la Megeve-Morzine, nella quale ha accusato un distacco di 17 minuti, chiudendo al tredicesimo posto nella classifica generale vinta da Froome. Ecco, probabilmente Fabio non era quello che r­i­schiava di finire il Tour sul podio, ma nemmeno quello che ha chiuso al tredicesimo posto. Vanno riviste alcune cose, sia dal punto di vista della preparazione che dell’approccio alla corsa. Ma il primo a sapere queste cose è Fa­bio, che è un professionista rigoroso ed esigente: forse pure troppo. Lo dico adesso: io sono sicuro che Aru il prossimo anno andrà fortissimo. E lo dico perché conosco Fabio e le sue potenzialità. Ha classe e volontà. È uomo rigoroso e intelligente. Non commette mai lo stesso errore, e quest’anno ha imparato tanto».

IL RESTO DEL MONDO
«Chi mi ha impressionato? E chi se non Peter Sagan. È fenomenale, fa squadra da solo. E pensare che Oleg Tinkov aveva anche da ridire, si lamentava perché costava troppo. Questo è davvero un prodigio della natura. Bi­sogna solo sperare che non si metta in testa di diventare un giorno corridore per Grandi Giri perché allora sarnno dolori. Lui, in sella alla propria bicicletta, è capace di tutto. Un altro da ap­plausi è Alejandro Valverde: corre da gennaio ad ottobre ed è sempre lì, a battagliare con i migliori. Professio­nista esemplare, fa trasudare il proprio amore per questo sport. Poi c’è Chris Froome, terzo Tour con una squadra super, che alla Vuelta però gli ha fatto in pratica perdere un Giro di Spagna già vinto. E qui mi taccio per rispetto di tutti, ma se fossi in Froome qualcosa da dire ce l’avrei. Forse anche qualcosa di più».

Voto alla tua Astana?
«Un 6,5, grazie alla vittoria di Nibali al Giro. Abbiamo chiuso con 29 vittorie stagionali e se non ci fosse caduto An­gel Lopez alla Vuelta, secondo me, la stagione poteva avere un epilogo migliore. Il nostro colombiano è giovane, ma è forte e ha visione della corsa. Quan­do si trova lì, difficilmente sbaglia. Non c’è bisogno di dirgli niente: sa quello che va fatto in certi frangenti».

Però il prossimo anno sarete senza Vin­cen­zo e Diego Rosa…
«Avremo Moreno Moser, Oscar Gatto, oltre ai danesi Jesper Hansen e Mi­chael Valgren. Poi un giovane kazako Oleg Zemlyakov, proveniente dalla squadra Continental Vino 4ever SKO. Certo, rimpiazzare Nibali non è facile. Uno come lui non si può so­stituire. Chi avremmo do­vuto prendere? Forse Quin­tana».

di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di novembre
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