L'ORA DEL PASTO. PILONE GEREMIA

LIBRI | 19/10/2016 | 09:08
Il suo primo amore fu il ciclismo. Aveva sette anni quando Bartali conquistò il suo primo Tour de France. Ne aveva nove quando Coppi, gregario di Bartali, vinse il suo primo Giro d’Italia. Ne aveva 15 quando Coppi s’impose nella Milano-Sanremo, che annunciava al mondo il ritorno alla vita. Ne aveva 17 quando Bartali trionfò nel suo secondo Tour de France. Lui, coppiano. Sfoggiava una Bianchi con cambio Campagnolo. Si era tesserato per la Ciclisti Padovani, anche se non si attaccò mai un dorsale. Però pedalava, in città e sulle Dolomiti, godendo.

Poi s’innamorò del rugby, e il rugby divenne la sua esistenza, anche la sua resistenza. Giocatore, allenatore, presidente: nel Petrarca di Padova, un’istituzione, un modello, una maglia – nera – pesante come un’eredità. Così al rotondo preferì l’ovale, così al Prato della Valle, sede delle prime competizioni ciclistiche, sostituì prima il Tre Pini e poi la Guizza, rettangoli verdi con porte a H e pali che bucavano il cielo. Ma la bici, la sua bici, la sua Bianchi, continuò ad accompagnarlo a casa o in ufficio, al bar o al campo, in via Cesare Battisti o in via Filiasi. Pronta, silenziosa, fedele: l’ideale.

Memo Geremia era una via di mezzo fra Alfredo Martini e Nereo Rocco, ma del rugby. A lui Giorgio Sbrocco ha dedicato “Nel segno di Memo” (Cleup, 120 pagine, 12 euro), un giacimento di piccole storie esemplari. Quando finì una partita con la spalla fratturata. Quando giocò una partita in Nazionale, e la seconda volta in Nazionale si presentò in giacca e cravatta per dire che non poteva rispondere alla convocazione, perché a dirlo per posta o per telefono non gli sembrava corretto. Quando smise di giocare a 27 anni e nessuno ha mai capito perché. Quando telefonava alle sette del mattino ed esordiva con “stavi dormendo, vero?”, e poi aggiungeva “le luci che vedi fuori dalla finestra non sono marziani o dischi volanti”, e infine spiegava “sono gli operai che vanno a lavorare in bicicletta”. Ed ecco ancora la bicicletta come segno distintivo.

Quando divideva il genere umano in tre categorie: chi capisce le cose prima che gli vengano spiegate; chi capisce le cose dopo che gli sono state spiegate; chi non capisce le cose neanche dopo che gli sono state spiegate. E quando si presentava per battere cassa, e in questo era imbattibile, tanto che la vittima, appena lo scorgeva, metteva mano al libretto degli assegni.

Memo Geremia: duro, tosto, asciutto. Pilone in campo, anche nella vita. Coppiano, su una Bianchi. A pensarci, non poteva che essere così.

Marco Pastonesi
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