TUTTOBICI | 30/06/2016 | 07:30 Una persona assai vecchia e molto saggia mi ha smistato un suo pensieraccio interessante. Prima di renderlo articolo di giornale ci ho pensato sopra a lungo. Ci provo qui, confidando nella calma intelligenza dei lettori allenati, e approfittando dell’occasione per mie particolari, personalissime considerazioni.
Il tipo si è riferito ai due problemi più grossi del ciclismo, almeno nella considerazione di chi coltiva del nostro sport una conoscenza affettuosa e curiosa e anche appassionata, ma necessariamente non profonda. Si tratta del problema del doping e di quello dei motorini ausiliari. La premessa (del tipo in questione, mia e magari di altri, di tanti) è che una cosa è parlarne, un’altra è quella di sperare di eliminare i mali, se sono mali.
Il doping farebbe o fa (per me non c’è neppure bisogno del condizionale) il “lavoro” di una medicina sportiva avanzata, considerando che scalare il Mortirolo a pane e acqua, come suol dirsi, è più dannoso per l’organismo dell’atleta che scalarlo con l’aiuto di un qualcosa che dia vigore, e che permetta di non crollare ai primi sintomi forti della fatica. Il problema è non andare “oltre”, chiedendo troppo all’organismo aiutato: simmetrico al problema di chiedere troppo non aiutandolo per niente. Poi c’è anche il problema della lealtà, per non dire di quello, cosmico, che si chiama disuguaglianza fra esseri umani alla nascita, nonché della mancanza di una par condicio di partenza: uno cresce a bisteccone, l’altro a farina di manioca. Ma restiamo al doping tradizionale, basta e avanza per una meditazione, casomai una discussione.
Emetta ognuno il suo parere personale, se può e vuole anche la sua sentenza. Qui, sempre in sintonia, in coro con quel tipo di cui sopra, dico che il discorso del doping “sportivo” non interessa oggi ai giovani, i quali danno per scontato l’aiuto chimico spinto, l’intervento della scienza, l’aiuto del progresso. Noi facevamo il timido ballo in casa, sotto gli occhi dei genitori, loro fanno la movida. Noi bevevamo al massimo vino rosso, loro ingurgitano alcol sofisticato. Possibile che presto muoiano tutti, ma anche possibile che crescano bene, con organismi allenati, preparati, mitridatizzati, curati, coinvolti. E, così quando sanno che un atleta prende pastiglie speciali per andare più veloce, siano curiosi di sapere quali pastiglie, magari per fare raffronti, esperimenti. Lo scrivo prescindendo ovviamente da ogni moralismo, convinto che la moralità sia un fatto privato e non un’ideologia di massa sottoposta magari a ordini dall’alto. Il doping interessa ai giovani di oggi non come palestra di facile sdegno, ma come esempio di alchimia sottile, chimica spinta, sperimentazione cattivante. Una cosa scientifica, non demoniaca.
Idem per i motorini ausiliari. Frequentando eccome i giovani di oggi, dopo avere messo al mondo alcuni bipedi che a loro volta ne hanno messi al mondo altri, pensi di poter affermare che, investiti del caso di questi aiuti speciali alle pedalate, anziché sdegnarsi si informerebbero sul “percome”, onde accrescere la loro pur già vasta conoscenza delle diavolerie tecnologiche. Non dico che considererebbero un eventuale ciclista motorizzato come un eroe, ma come uno sperimentatore sì, un pioniere, un esploratore. E in fondo quando ci fu l’avvento del cambio di velocità interessò la grossa novità tecnologica, non una qualche sua eventuale illiceità.
Non discuto qui se sia bello o brutto che le cose vadano in questo modo. Penso che giudicare sia, da parte specialmente di noi vecchi, presuntuoso e illegittimo, dopo quel po’di bordello in cui abbiamo fatto precipitare il mondo anche senza l’aiuto di grandi guerre, e inquinandolo non si sa se più moralmente o materialmente (in ogni caso, sempre moltissimo). Naturalmente ci sono i temi del doping che ad un certo può diventare prodromo della droga, naturalmente non è bello anzi è schifosello staccare i rivali pedalanti perché si ha un aiuto da un motorino, naturalmente si debbono studiare rimedi e leggi, ma se i giovani sono come sono (diventati) e se noi continuiamo a dar loro in pasto consumismo spinto e tecnologia stimolante, dobbiamo accettare e discutere non solo gli sviluppi, ma anche i viluppi della situazione.
Penso però che anche stavolta il ciclismo farà lo spazzacamino che si sporca per conto terzi. Lo ha fatto con il doping, che ora dilaga in tutto lo sport forse per la semplice ragione che finalmente si fanno i controlli seri, e adesso la faccenda dei motorini diviene utilissima al resto del mondo per uno sdegno comodo e facile ed effettistico. In primis il calcio che puzza di marcio, pratica e scopre la corruzione continua, registra oscenità di denaro e denaro e denaro in maniera addirittura offensiva, infrange ogni decenza nei cosiddetti contratti (oh, il balletto per la Nazionale azzurra, il cui tecnico la guida ma intanto sta già con la testa in un altro club, mentre quello che doveva stare con la testa in un altro club adesso sta con la prossima sua Nazionale, e un terzo si svincola da un contratto godendo di buona uscita qua e di buona entrata là: una magia). Gian Paolo Ormezzano, da tuttoBICI di giugno
Mi pare il secondo articolo di fila che il maestro Ormezzano dedica alla questione e si capisce sempre di meno dove si voglia andare a parare. Forse che un giovane, in quanto giovane di oggi, si indigna meno di un anziano se si viene a sapere che un tale ha battuto un altro più meritevole grazie al doping o a un motorino nascosto nella bici? Oppure che lo stesso giovane sarebbe solo per questo favorevole alla liberalizzazione del doping o all\'uso dei motorini elettrici al Giro di Francia? Qui si parla di sport, non di entusiasmo per la ricerca scientifica e del miglioramento delle prestazioni a prescindere dalle regole elementari dell\'etica sportiva.Mi pare una maniera confusa di confondere le acque già confuse di un problema complesso come quello del doping (che, detto per inciso, non c\'entra nulla con la ridicola frode dei motorini elettrici). Io aspetto ancora qualcuno che sappia affrontare ( non risolvere) questo tema, senza ipocrisie e in spirito di verità, ammesso che lo si voglia fare
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