GIRO. DIAMO I NUMERI: 219 ZHUPA

PROFESSIONISTI | 21/05/2016 | 09:36
219
A casa aveva quattro bici: due mountain bike e due da corsa. Finché sono entrati in azione i soliti ignoti, ladri di biciclette. “E me le hanno rubate. A me. A un albanese”.

Eugert Zhupa ha il senso dell’ironia. Lui è il Fausto Coppi di Albania: quattro titoli nazionali a cronometro, due in linea, più un Giro di Albania. Ed è l’unico albanese al Giro d’Italia. Dorsale 219, anni 26, doppia cittadinanza, per la nascita a Rrogozhine, una quarantina di chilometri da Durazzo e una settantina da Tirana, e per la residenza a Scandiano, aria di Reggio Emilia.

La mia parte albanese sta nelle origini, nel papà e nella mamma, che si trasferirono in Italia – il papà nel 1993, la mamma, mia sorella e io nel 1996 - per cercare lavoro, e lo trovarono in una fabbrica di piastrelle di ceramica, e nella lingua che parliamo, altrimenti l’avrei già dimenticata, ma che so scrivere a fatica. La mia parte italiana sta nell’amore che ho per questa terra, non scambierei Scandiano per nessun altro posto al mondo, e con il ciclismo ne ho girati, dall’Europa alla Cina, dal Brasile al Venezuela, ma qui si sta proprio bene, non ci si rende conto del privilegio”.

Giocava a calcio, Eugert: “Attaccante nella Scandianese, facevo anche qualche gol, ma non mi divertivo. A me piaceva andare in bicicletta e mi sono innamorato del ciclismo guardando Pantani in tv. Come scattava e attaccava, come saliva e arrampicava. Quella testa pelata, quegli orecchini luccicanti, quella bandana gialla. E allora con mio padre, che avrebbe preferito che continuassi con il pallone, feci una scommessa: se fossi riuscito ad arrivare in cima al Monte delle Tre Croci, una salita di tre chilometri che si è pedalata anche alla Settimana Coppi e Bartali, avrei lasciato il calcio per il ciclismo. Ci riuscii. La mia prima vittoria”.

La prima corsa da esordiente, “in provincia di Parma, non sapevo cambiare, non sapevo rimettere a posto la catena, non sapevo stare in gruppo, quasi non sapevo che per vincere dovessi stare davanti a tutti, comunque arrivai al traguardo”. La prima (ufficiale) vittoria da allievo, “a Ganaghello, in provincia di Piacenza, tutto il giorno in fuga, da solo, con il gruppo che m’inseguiva a un minuto”. La corsa più bella da professionista, “alla Gand-Wevelgem 2015, un vento assurdo, uno dei 40 arrivati su 200 partiti, l’unico della mia squadra, e pensare che nel finale ero ancora con il gruppo di Paolini”. La corsa in cui ha sfiorato la vittoria pochi giorni fa, “la tappa di Roccaraso, prima nella fuga, poi quando la fuga si è sbriciolata, sarei stato felice di arrivare anche secondo, e ci ho sperato fino ai meno 2, e quando Nibali mi ha ripreso, ho pianto”.

Perché Zhupa ha il fisico tosto e il cuore tenero: “Il ciclismo mi ha costruito il carattere e reso tenace, costante, anche testardo, mi ha tolto dalla cattiva strada per regalarmene tante altre, ma tutte buone, e mi ha disciplinato dandomi regole ed esigendo rinunce. Così, la sera, quando gli altri uscivano, bevevano, non solo acqua, e fumavano, non solo tabacco, io tornavo a casa e m’infilavo a letto”. Da lì si è moltiplicata la sua voglia di fare, di stringere i denti, di non mollare. Eugert è un bel passistone, 1,83 per 77: “Dovrei perdere qualche chilo, ma mi è difficile. Ho la passione per le lasagne, i tortellini, il parmigiano-reggiano”. Colpa anche del suo fans club: “Gente straordinaria. Uno come Lauro Grazioli, gregario di Adorni e Merckx, che fin da quando ero un ragazzo mi regalava consigli e trucchetti. E uno come Paolo Tedeschi, presidente delle vecchie glorie, che è venuto a sostenermi anche durante questo Giro. Ma alle loro tavolate è quasi impossibile dire di no. Però poi, sulla bici, in salita, ci sono io”.

Marco Pastonesi

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