STORIA | 15/05/2016 | 09:20 1955 Aveva la stessa passione di Mori e Marangoni, faceva lo stesso mestiere di Tosatto e Trentin, vantava la stessa licenza di vincere di Brambilla e Boem, e fa rima con Mazzi, Tinazzi e Pirazzi: Amilcare Sgalbazzi, classe 1955, gregario – per dirne tre - di Saronni, Baronchelli, e Battaglin, ci riporta al ciclismo degli anni Settanta e Ottanta.
Lombardo di Soresina, e soresinese di Genivolta, terra di calcio e patria di calciatori, da Cina Bonizzoni a Carlo Soldo. Nonno Amilcare, papà operaio, mamma casalinga, sorella adesso con ristorante, fratello norcino, lui terza media e ciclismo. “La prima bici era normale, il manubrio da corsa fu messo la sera alla vigilia della prima gara, esordiente, a Casalmorano, vicino a Cremona. Finita, ma abbastanza finito”. “La prima vittoria da allievo, a Rovato, li staccai tutti in salita, l’unico modo per evitare le volate, che non erano il mio forte”. “Però poi otto vittorie da dilettante di terza, tre vittorie il primo anno, quattro il secondo, cinque il terzo da dilettante alla Polli di Lissone con Pierino Baffi. Azzurro, due volte al Giro delle Regioni, una alla Praga-Varsavia-Berlino”. E il professionismo.
Quella volta sul Gavia: “La salita più dura mai fatta”. Quella sul Montorfano: “In allenamento, con Enrico Guadrini, due km al 20 per cento, poi la strada si ferma, ma ci fermammo prima noi, l’avevamo presa sottogamba”. Quella sul Tonale: “Un caldo bestiale, conoscevo la fontana, riempii la borraccia, feci un figurone”. Quella sul Colle San Fermo: “In discesa, a Battaglin si era girato il tubolare, inchiodai e gli detti la ruota, al volo”. Sette Giri, due Tour, una Vuelta, Romandia e Catalogna, e le classiche del nord: “Il pavè, le scosse facevano saltare le mani. I muri, se non pioveva li bagnavano. Ma quella del gregario era una bella vita, se però i capitani vincevano. Ma che vincessero o perdessero, tutti i miei capitani mi dicevano grazie”. Poi quel giorno, unico, speciale, al Giro d’Italia 1979, penultima tappa, 245 km, arrivo a Barzio: “Il giorno prima, a Trento, ero stato ripreso ai 200 metri, e vinse Moser. Il giorno dopo, giù dal Tonale forai la ruota davanti, riuscii a fermarmi, ripartii, rientrai, ai meno 30 attaccai e arrivai, da solo”.
Ci sarà anche Sgalbazzi, sulle strade del Giro d’Italia: “Vedere i corridori sarà un po’ come rivedere me”. Poi falegname, operaio, contadino, pensionato. “E sempre corridore. Anche adesso, in bici, ma a spasso”. Marco Pastonesi
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