PROFESSIONISTI | 14/05/2016 | 09:59 28 Se esistesse un Mondiale Under 2 (avete letto bene: sotto i due anni), nel 1993 lo avrebbe vinto lui: perché sapeva già andare in bici senza le rotelline, sfrecciando in lungo e osando in largo.
Era una biciclettina nera e azzurrina, quella con cui Mirco Maestri scoprì la vita, e un po’ anche se stesso, a Casoni di Luzzara, in provincia di Reggio Emilia. Poi si adagiò sugli allori e anche sui piatti di tortelli e tortellini, perché – come racconta lui – “ero diventato più largo che alto”. Tant’è che lasciò il calcio, attaccante di sfondamento, e tornò alla bicicletta per sbarazzarsi dalle derisioni dei compagni “grazie al signor Anselmi, un cicloamatore, vecchietto, convinto che avessi proprio una bella pedalata”. La prima corsa a nove anni, da G4, la prima vittoria a 11 anni, da G6, “perché ero l’eterno secondo dietro a Samuel Saracino, ma quel giorno Samuel non c’era, e così vinsi io”, il primo eroe a otto anni, Damiano Cunego, “e ora che corro insieme con lui, in gruppo, sono così emozionato che non ho ancora trovato il coraggio di dirglielo”.
Adesso Mirco – un metro e 85 per 74, passistone e gregarione della Bardiani-Csf – disputa il suo primo Giro d’Italia. “Ho una strana sensazione: come se il mio corpo non mi appartenesse, la testa presa dalle scoperte e dalle novità, le gambe che girano da sole”. La fuga? “E’ concentrazione e determinazione”. L’inseguimento? “Costanza e ancora determinazione”. Lo scatto? “Potenza”. L’attacco? “Intelligenza”. La volata? “Sangue freddo e temperatura alta”. La foratura? “Sfortuna”. La caduta? “Sfortuna doppia e pericolo”. Voto, finora? “Sei meno. Perché sono molto autocritico, mi aspetto di più, pretendo di più, esigo di più”. Il primo pensiero quando ti svegli? “Vado in guerra. Guerra, ma si fa per dire”. L’ultimo prima di addormentarti? “Un’assoluzione, nell’esame di coscienza quotidiano”.
Mirco, al di là del cognome, ha avuto buoni e cattivi maestri. A scuola, cattivi. “Itis, termotecnica, quinto anno, invece di capirmi e aiutarmi, si lamentavano per le troppe assenze per ciclismo, e allora mollai senza arrivare al diploma”. Ma a casa, buoni. “La bicicletta, maestra di vita. Il ciclismo, scuola di vita. E Giulia, mia moglie, maestra d’asilo”. Quanto al loro Leonardo, due anni a giugno, “adesso tira calci al pallone, il giorno in cui decidesse di dedicarsi alla bici dovrà convincermi della sua passione. Il ciclismo si fa solo per amore”. Marco Pastonesi
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