L'ORA DEL PASTO. UNA CASA PER GUERRA

STORIA | 02/03/2016 | 09:32
Diamogli una casa. Diamogli una casa cantoniera, un vecchio casello, una ex caserma. Diamogli una chiesa sconsacrata, una villa comunale. Diamogli un museo. A Learco Guerra.

Le memorie della Locomotiva Umana
abitavano nella sua Mantova e condividevano i locali del Palazzo del Podestà in piazza Broletto con quelli di un altro eroe dello sport mantovano, Tazio Nuvolari. L’inaugurazione nel 1994, lo sfratto dieci anni dopo. Da allora, tranne una mostra allestita nella Casa del Rigoletto nel 2011 e qualche pezzo della collezione relegato in una saletta al secondo piano del PalaBam, Guerra non ha più trovato un luogo dove essere ricordato: né a Mantova di cui è un simbolo, né a San Nicolò Po dov’era nato.

Eppure Guerra fu campione del mondo (nel 1931: primo in una edizione disputata a cronometro, 172 chilometri), conquistò un Giro d’Italia (1934: e si aggiudicò addirittura dieci tappe), e sua fu la prima maglia rosa nella storia (1931: indossata proprio in una tappa con arrivo a Mantova), si classificò due volte secondo al Tour de France (1930 e 1933: e la prima volta, con i soldi raccolti grazie a una colletta popolare, il campione riuscì a comprarsi casa), dominò una Milano-Sanremo (1933) e un Giro di Lombardia (1934). Guerra dichiarò guerra su strada e in pista, da passista e da seigiornista, da corridore e poi da direttore sportivo, infine da industriale della bicicletta. Un personaggio eterno.

Ma eterna sembra anche la questione delle sue memorie, richieste - solo per dirne due - dal Museo del ciclismo al Ghisallo e dal Museo dei Campionissimi a Novi Ligure. L’altra sera i locali del Coni di Mantova hanno ospitato un incontro per sollecitare proposte e soluzioni. C’era Learco Guerra, il nipote, c’erano dirigenti del ciclismo provinciale, c’era una vecchia gloria come Celso Zanazzi. Ma, degli amministratori comunali (di Mantova e di Bagnolo San Vito, di cui San Nicolò Po è una frazione), zero: neppure una solita scusa, una dovuta giustificazione, una pietosa bugia.

Marco Pastonesi
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