NIBALI, UN NUMERO UNO SEMPRE E COMUNQUE

PROFESSIONISTI | 22/11/2015 | 07:37
Non capisco, proprio non capisco queste smorfie strane e quest’aria da due no­vembre parlando della stagione di Nibali. Meglio: capisco qualche sua perplessità personale, perché lui è un grande e ragiona da grande, cioè non è mai contento di sé stesso, guarda sempre più ai limiti e agli errori che ai pregi e ai successi. Lo capisco e gli dico bra­vo, così si fa: prima di essere critici con gli altri, bisogna essere ipercritici con se stessi. Ma noi, tifosi e commentatori, da fuori, non possiamo fare i malmostosi sul suo 2015. Per quanto mi riguarda, voglio dire tutto il contrario: Vincenzo, su col morale, per me ne esci comunque alla grande. Se hai pazienza, provo a spiegare perché.

Punto uno, il Tour. Certo bisogna partire da qui, perché questo era l’obiettivo primario dell’annata. Allora: non hai vinto come l’anno prima, hai avuto un avvio da mani nei capelli (però, la tua squadra…), ti sei fustigato, cosa c’è che non va, cosa c’è che non vado, do­ve ho sbagliato, cosa ho sbagliato. Tut­ta­via, ragazzo giusto e generoso: altri, al tuo posto, sarebbero tornati a casa, inventandosi per strada una congiuntivite o un’unghia incarnita. Tu no: sei ri­masto lì, hai incassato le tue brave sberle, poi ti sei ripreso e hai concluso da leone. Non è da tutti. E comunque alla fine sei quarto. Ripeto, quarto: in quante annate della nostra storia avremmo organizzato feste nazionali per un italiano quarto al Tour? Dun­que: diciamo che hai fallito l’obiettivo del bis, su questo non ci piove ed è inutile sminuire, ma comunque hai perso nel modo più decoroso e più onesto. Fossero sempre così, le nostre sconfitte. Prendi nota e dammi retta: se tutte le volte che ti girerà storta finirai con un trionfo nel tappone e un quarto posto finale, mettici subito la firma. Io la metterei, se potessi.

Punto due, tutto il resto. Caro Vincen­zo, anche se Vinokourov ti rinfaccia sempre i quattro milioni di euro dell’ingaggio annuale (santo cielo, che no­ia: se te li ha dati avrà avuto i suoi buo­ni mo­tivi, e comunque nessuno gli ha puntato la pistola alla tempia, faccia il piacere di chiuderla lì, una volta per tutte), anche se inevitabilmente i tifosi vogliono il loro campione sempre pri­mo, il bilancio è comunque egregio. Tanto per cominciare, anche quest’anno ti sei concesso alle sfide e alle platee a tempo pieno, dalla primavera all’autunno, senza mai traccheggiare in fon­do al gruppo. In secondo luogo - ma lo metterei al primo - ancora una volta hai dimostrato una passione sfrenata e sincera per i valori di una volta, la maglia tricolore, che ti sei ripreso con assolo sul Colle di Superga, mica tra gli ipermercati di Assago o di Nola, e poi per la maglia azzurra, mettendoti umilmente a disposizione dei nostri (presunti) velocisti e soprattutto del ct Cas­sani. A questo proposito, devo inserire una parentesi: tempo fa proprio Cas­sa­ni mi ha confidato l’intenzione di escludere dalla nazionale chiunque salti il campionato italiano, un modo per re­stituire dignità e serietà a una corsa troppe volte svilita e umiliata dai nostri (presunti e sedicenti) big: forse faccio male a rendere pubblica una confidenza, ma è un’idea talmente bella che mi sembra doveroso divulgarla, perché in questa battaglia Cassani va sostenuto da tutti, fino in fondo, anche alla faccia dei geniali procuratori che consigliano sempre di non perdere tempo dietro la maglia tricolore. Chiudo la parentesi nazionalista e torniamo a Nibali.

Vincenzo, hai onorato il tricolore e l’azzurro, ma hai voluto anche rimetterci la faccia alla Vuelta, dopo il Tour. Lì tutti ricorderanno soltanto la memorabile esclusione per il traino, ef­fetti­va­men­te un gesto più da Tafazzi che da Nibali, però davvero l’hanno fatta tutti troppo lunga: mille volte, nella sto­ria epica del ciclismo, si è visto que­sto gesto. Confes­sione per­so­nale: in un Giro di parecchi an­ni fa, alla penultima tappa sulle mon­tagne piemontesi, io, Stagi e Costa salvammo il Giro di un po­vero velocista, non uno di pri­ma fascia, trainandolo un po’ in salita con l’auto, mentre da solo navigava ormai fuori tempo massimo: poveraccio, aveva tenuto duro per tre settimane, ci teneva da morire ad ar­rivare fino in fondo a Mi­la­no, proprio non ce la siamo sentita di ne­gargli il sogno, che il Cielo e le giurie ci perdonino…

Tu, da parte tua, nei sei uscito comunque da campione anche in quell’imbarazzante frangente: nessun rumore di unghie che scivolano sugli specchi, nessun giro di parole, nessun vittimismo. Hai ammesso, hai chiesto scusa, te ne sei tornato a casa. Ti sei concesso soltanto l’obiezione sull’eccessiva crudeltà della sanzione, ricordando che in altri ca­si se la sono cavata con pesanti mi­nuti di penalità. Ma l’hai chiusa subito, voltando pagina, guardando avanti. Le vergogne non si coprono con le foglie di fico. È peggio. Tu hai scelto la strada migliore: chiedere scusa. Un passo che pochi sanno affrontare in questo mon­do di impuniti, tutti sempre vittime di complotti e di congiure. In questo mondo proprio non ce la fa nessuno a chiedere scusa, sono tutti Fonzie, la so­la parola si ferma in gola. Il signor Vin­cenzo Nibali, per questo, è campione anche nel momento dell’errore. Come riesce solo ai campioni veri.

E poi non resta che l’acuto di chiusura - passando pure per il meritorio impegno nell’Agostoni e nella Bernocchi -, quel Lombardia che tanti snobbano, ma che tu hai sempre onorato con il massimo della passione, perché i grandi campioni amano le grandi corse, e questa con la Liegi è sicuramente la più grande di tutte. Altre volte ci avevi provato, sempre azzardando l’assalto finale. Una volta una caduta, una volta il veemente rientro degli inseguitori, ogni volta il trionfo rinviato. E tutti a darti del folle, dello scialacquatore, del dissennato. Stavolta hai fatto esattamente lo stesso, il folle, ma stranamente si sono messi tutti quanti ad esaltare la tua generosa follia.

Caro Vincenzo, valli a capire, gli espertoni da poltrona. Se riesci a capirli, fam­melo sapere. Io ci ho rinunciato, perché sinceramente mi sembra troppo facile, il loro gioco: ragionando sempre dopo, con la classifica in mano, è fenomeno chi vince, è fesso chi perde.
Dopo tutto, è proprio per questo che non capisco le smorfie sul tuo 2015. Ufficialmente mi dissocio. Io lo prendo tutto per bello, sul serio: perché nel be­ne e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, nella vittoria e nella sconfitta, ne sei uscito comunque sempre allo stesso modo. Da numero uno.

Ctistiano Gatti, da tuttoBICI di novembre
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COMMENTI
condivido in pieno
22 novembre 2015 15:31 rufus
Condivido in pieno, e non da ora, le riflessioni di Gatti sulla stagione di Nibali, autentico numero uno del pedale. Altro non serve dire.
Flavio

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