MUSEO BARTALI. Ora tocca al comune di Firenze

STORIA | 02/10/2015 | 10:13

Una lunga storia a tratti sofferta, in affanno, da parte dell’Associazione Amici del Museo di ciclismo Gino Bartali presieduta da Andrea Bresci, ma ora cambia tutto e si spera in un deciso rilancio da parte del Comune di Firenze di questa struttura realizzata in onore di Gino Bartali. La cerimonia che ha suggellato il passaggio delle chiavi del museo dall’Associazione, gestori dimissionari, alla delegazione di Palazzo Vecchio guidata dall’assessore allo sport Andrea Vannucci, si è tenuta nella sala ricevimenti del museo a Ponte a Ema. Si apre dunque una fase nuova che tutti si augurano meno travagliata. La formula del passaggio è quella del “comodato d’uso gratuito per tre anni” e chiude un capitolo del quale occorre ricordare alcuni passaggi. Il museo fu edificato su un terreno offerto dal Circolo Ricreativo L’Unione di via Chiantigiana che ha sede accanto alla struttura, costo dell’opera 2 miliardi e mezzo di lire dei tre enti pubblici proprietari, il Comune di Firenze che ha il 65 per cento delle azioni, il Comune di Bagno a Ripoli e la Provincia di Firenze per il restante. L’inaugurazione dell’opera avvenne il 1 aprile 2006 e quindi l’Associazione Amici del museo è rimasta in “carica” per più di 9 anni, anche se dal 2011 la stessa più che esserne gestore era custode del museo a seguito delle difficoltà incontrate. Il suo presidente Andrea Bresci lo ha ricordato.


“Tutti i soci volontari, non abbiamo ricevuto né collaborazione, né risorse da parte dei titolari dell’impianto, le amarezze, le sofferenze sono state tante, ma abbiamo voluto rimanere per Gino, per mantenere sempre vivo il suo ricordo”.


Il museo di Ponte a Ema che sorge di fronte alla casa dove il 18 luglio 1914 nacque Gino Bartali contiene 124 biciclette di tutte le epoche, oltre 250 maglie di ex corridori, campioni e personaggi meno popolari del pedale, una biblioteca con 900 volumi, centinaia e centinaia di pubblicazioni sportive e fotografie, poster, video cassette, un archivio dati di tantissimi ciclisti del passato ed in attività, oltre a cimeli di grande valore e significato unici nel suo genere.

L’assessore allo sport del Comune di Firenze, Andrea Vannucci si è detto felice e soddisfatto di avere concluso questa vicenda. La gestione verrà affidata all’assessorato alla cultura, che dovrà progettare un piano per il rilancio della struttura, ed occorreranno anche risorse finanziarie per alcuni interventi di manutenzione alla struttura. Non servono persone che assicurino l’apertura e basta, servono iniziative, idee, progetti. Deve essere cancellata l’idea che circola da un po’ di tempo, di portare via il museo da Ponte a Ema, perché Gino Bartali è stato ed è un simbolo della storia di Firenze. Il Comune ha manifestato interesse per la struttura costata fior di soldi, ora è il momento di dimostrarlo, altrimenti questo cambio di gestione non è servito a nulla.

                               
Antonio Mannori

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COMMENTI
Anche il Colosseo
2 ottobre 2015 12:12 canepari
è in crisi; anche Pompei. Molti musei sono in crisi, figuriamoci i musei del Ciclismo. Non credo di portare novità dicendo che il Ghisallo, Novi Ligure, Bartali, solo per citare i principali, sono in cattive acque… Per queste strutture dal valore storico assoluto modesto, ma dal valore sportivo e sentimentale indiscutibile, il volontariato e l’apertura ampia non sono più sufficienti. Se posso esprimere il mio modo di vedere credo che non sia importante per un museo del Ciclismo accatastare mezzi meccanici, magliette, borracce, fotografie… magari anche in maniera disordinata e scoordinata. La strada giusta ce l’aveva proposta un personaggio che pochi conoscono e ricordano: Antonio Lot ideatore del Museo "Alto Livenza" di Portobuffolé in provincia di Treviso intitolato a Giovanni Micheletto e Duilio Chiaradia. Quest’uomo, purtroppo prematuramente scomparso una quindicina di anni fa’, possedeva dalle vedute ampie, illuminate e concrete e aveva riunito in una unica Associazione tutti i “santuari museali” del ciclismo italiani. Per lui i cosiddetti “Musei” non dovevano essere, come in realtà sono, immobili raccoglitori di polvere e di cimeli ciclistici, stantii, statici e intoccabili, ma dovevano aprirsi al territorio, alle scuole, alle società e alla società, promuovendo incontri, filmati, presentazioni di libri, officine per i ragazzini (riparazione e gestione della loro bicicletta), ricerche su storie di campioni e gregari, serate con corridori di un tempo e “moderni”, lezioni ai giornalisti (che nella maggior parte a malapena sanno chi è Nencini, per non parlare di Linari o Brunero….). Purtroppo in Italia, contrariamente a quanto succede in Francia o nel Nord, manca una cultura storica del nostro sport e si vede. Beppe Conti, discreta memoria storica della nostra TV, è appena “sopportato” dai commentatori ufficiali che sanno tutto del cambio elettronico, del freno a disco e del doping, ma non sanno chi era Galetti o Calzolari; un volenteroso cultore della storia ciclistica come Bulbarelli (autore di un bel libro su Magni e di alcuni validi servizi dedicati a…) è stato “rimosso” dalle trasmissioni che contano. Chiaramente e giustamente tutta la nostra società è proiettata verso il futuro. Le nostre origini, le origini del nostro sport, e di conseguenza da dove deriva ad esempio il cambio Vittoria-Margherita, non interessano a nessuno perché nessuno istruisce e “diffonde il verbo”. In queste condizioni i Musei del ciclismo sono destinati a morire e a chiudere. Purtroppo….

caro canepari
3 ottobre 2015 07:39 giardi
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