L'ORA DEL PASTO. Van Breuseghem, questione di famiglia

STORIA | 07/09/2015 | 07:19
Questa estate, in crisi di astinenza da ciclismo, leggevo un comunicato della Lotto sul Gp Stad Zottegem, Gran premio città di Zottegem, cittadina belga nelle Fiandre Orientali: 189 chilometri, otto salitelle e tre tratti di pavé. Fuga a quattro, primo Kenny Dehaes, quarto Elias Van Breuseghem.
Ho dovuto rileggere: Van Breuseghem. Non ci potevo credere: Van Breuseghem. Era proprio così: Van Breuseghem. Sfruttando un’area wifi, ho esplorato la rete per saperne di più. E ho scoperto che Elias Van Breuseghem (ma esistono altre versioni: Van Breusegem e Van Breussegem) è un belga, ha 23 anni perché è nato il 10 aprile 1992, corre per la squadra – categoria Continetal - Veranda’s Willems di Merelbeke, viene definito “allrounder”, cioè completo, ed è stato anche campione nazionale Under 23 a cronometro nel 2014. In Italia ha corso poco: ma al Valle d’Aosta c’è stato. Capelli neri e folti, carnagione scura, sguardo interessante, fisico tosto.
Ad approfondire, a scavare, ad arrampicarsi sull’albero genealogico, forse si scoprirebbe che Van Breuseghem è un lontanissimo parente di Bruseghin: e la parentela è tradita non solo nel comune sport (il ciclismo), ma anche nella stesse cratteristiche (regolaristi), nella stessa predilezione (cronometro), nella stessa allergia (volata), anche nella stessa faccia (rotonda, anzi, lenticolare). E poi Elias deriva dal greco “elios”, sole, e Marzio viene da Marte: insomma, trattasi di due corridori galattici.
Il ciclismo (ma anche il rugby o la pallanuoto) è una grande famiglia, anche al di là dei legami di sangue (Vincenzo e Antonio Nibali, Luca e Simone Sterbini…). Penso a Cunego, al ceco Konig e allo statunitense King, che rivelano, nel cognome, le stesse nobili radici. Penso ai Battaglin, Giovanni il vecchio e Enrico il giovane, di diverse famiglie ma della stessa comunità, quella di Marostica. Penso ai due Andrea Peron, il primo già campione del mondo cronosquadre fra i dilettanti, il secondo campione sempre e comunque essendo corridore diabetico. Penso ai due Dumoulin, Samuel tascabile sprinter francese, Tom solido cronoman olandese trasformatosi - in questa Vuelta - in scalatore e uomo-classifica. Penso anche a quanto sia difficile distinguere i tre giapponesi Yamamoto dai connazionali Yamamura e Yamashita o i quattro professionisti cinesi battezzati Yang, come se il ciclismo li avesse plasmati e omogeneizzati.
Il ciclismo è una grande famiglia pure da altri punti di vista: una famiglia di aristocratici (Visconti, Conti…), di animali (Gatto, Ratto…), di colori (Rosa, Viola…) e di vini (Pinot, più gli ex Barbero, Bianchetto e Morellini…), anche se poi, presi singolarmente, e a seconda delle circostanze, i corridori possono sembrare Selvaggi o Benedetti.
Adesso, scoperta la relazione fra Bruseghin e Van Breuseghem, mi toccherà allargare i miei orizzonti cicloaffettivi: non più solo la Romagna di Marangoni e il Veneto di Pasqualon, ma anche le Fiandre orientali. Per amore del ciclismo si diventa migranti globali.

Marco Pastonesi

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