CRISTIANO GATTI. Gino, giusto e grande

APPROFONDIMENTI | 18/07/2014 | 15:54
È un secolo esatto da quando una giovane donna di Ponte a Ema, praticamente Firenze, partorì senza osarlo immaginare un’icona grandiosa di quel secolo.
Era Gino Bartali. Era il cucciolo d’uomo che poi avrebbe impiegato il suo tempo nel modo migliore possibile, come sarebbe piaciuto al suo Dio e pure a Seneca, il filosofo della vita misurata in opere, non in minuti. Per benevola coincidenza, Gino ebbe comunque in sorte anche una lunga estensione di giorni, regalandosi una seconda vita in giro per il Giro d’Italia, cappellino della Sprite con la visiera all’insù, tutti i giorni affollando ancora piazze e borghi ad ogni fermata. In questa fase autunnale della sua età, Gino ben volentieri recitava la parte della madonna candelora, dell’icona reale e vivente, senza sottrarsi mai a un autografo, a una foto, a una domanda su chi aveva passato la borraccia a chi. «La gente mi vuole bene, io voglio bene alla gente: non mi piacciono i campioni che fanno i preziosi», raccontava con quei ruggiti più profondi di qualunque gargarismo.

Per diventare quel nonno mitologico e amatissimo, il giovane uomo che l’ha preceduto si è dato un gran da fare. Certo con imprese da campione. Ma non solo. Non sarebbero bastate. Gino Bartali è riuscito ad essere ben altro: un vero esempio di grandezza, partendo dalla semplicità più scarna e più francescana. Non è un caso che lui e «quell’altro», come gigioneggiava chiamando Coppi, abbiano segnato un lungo tratto di storia e di costume, imprimendo la propria griffe di persone diverse, antitetiche, però complementari e indispensabili l’una all’altra. Basta dire l’Italia di Coppi&Bartali, oggi, per capire e intendere quel che sappiamo. Un’altra Italia, un’Italia che in molti giorni tetri e vuoti ci ritroviamo persino a rimpiangere, almeno per le sue passioni, per la sua vitalità, per la sua grandiosa voglia di fare.

Gino era la metà semplice della mela. L’altro era complesso, macerato, contorto: lui lineare e tutto d’un pezzo. Semplice senza paura di essere anche sempliciotto. Ma dannatamente convinto, dannatamente tenace, dannatamente pronto a ripartire dopo ogni batosta. Gino ci credeva sempre e comunque, diceva a noi giovani inviati al Giro, perché credeva. In Dio e nella Madonna, nei santi e nelle preghiere. Era così. E dandogli del bacchettone capitava regolarmente che mandasse tutti a quel paese, perché la sua fede non sapeva solo di cera e d’incenso, ma di fatti e di opere vere. Certo, la spola tra Firenze e Assisi con le lettere arrotolate nel telaio per salvare gli ebrei, pedalate che più del Tour gli sono valse l’albero dei Giusti a tanti anni di distanza. Ma non solo questi eroismi. Gino era devoto alla famiglia, era devoto all’Azione cattolica, era devoto alla sua amatissima nazione. Era il simbolo di un italiano particolare, razza poi in velocissima estinzione, fino ai livelli odierni da riserva protetta del Wwf: era l’italiano che crede in pochi valori, elementari e grezzi sin che si vuole, ma grezzi come può essere grezzo anche un diamante. I valori del dovere civile, della serietà, del lavoro, del rigore morale.

Dall’altra parte lo guardavano di sbieco, lo irridevano chiedendogli perché non si fosse messo la tonaca, lo sospettavano d’essere pure al soldo dell’America o almeno del padronato, ma pure loro, pure gli inflessibili soldati del sole dell’avvenire, quando se lo vedevano al Musichiere, cantando sgangherato con il più sgangherato Fausto, non potevano negargli la virtù immensa di una grandiosa carica interiore, quella che universalmente, in ogni tempo, nobilitiamo con il nome di umanità.

Chiedi chi erano i Beatles, cantiamo ogni tanto ai nostri ragazzi. Vorremmo sapessero di un’altra epoca e di un altro mondo. Ci piacerebbe chiedessero di Kennedy e del ?Che?, di Woodstock e di Bob Dylan. Eppure non sarebbe male che ogni tanto noi e loro, noi padri di oggi e loro figli di oggi, guardassimo insieme anche all’Italia di Coppi&Bartali. Per sapere che certo non potrà mai più tornare. Ma più ancora per convincerci della legge intramontabile che l’ha animata e così dolcemente abbellita: niente è impossibile a chi ci crede, a chi ha qualcosa di buono dentro, come Gino.

da «Il Giornale» del 18 luglio 2014, a firma Cristiano Gatti
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COMMENTI
grazie Cristiano,
18 luglio 2014 21:25 canepari
davvero un bel pezzo.... Su Bartali oggi si sono cimentati tutti i tuoi colleghi; web, TV, carta stampata. Qualcuno ci ha messo del suo, altri hanno adoperato come al solito il "copiaincolla" . Ora speriamo soltanto che non debbano passare altri 100 anni per parlare nuovamente di Gino, dei suoi fratelli e degli uomini che hanno tracciato le orme sulle banchine delle strade bianche.

Le grandi penne..
19 luglio 2014 07:46 Romanofrigo
Grazie C, è un piacere scorrere le pagine che scrivi, sempre, ma a maggior ragione quando vai a guardare la profondità dell'umano delle cose, e degli eventi.
In certi momenti ti invidio la penna, anzi, spero proprio di sapertela copiare, non per il piacere altrui, ma per il gusto di scrivere pagine simili a questa.
Grazie C.

P.s.: venerdì prossimo sarò dalle tue parti, raggiungibile e incontrabile. Ci sentiamo

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