MONDIALI | 11/09/2013 | 12:21 Bettini, venti giorni al Mondiale professionisti, a che punto siamo? «Sono particolarmente contento, perché mi mettono in difficoltà. Continuo a girare e rigirare i nomi: corrono in nove più due riserve, io ne ho scritti quindici e tutti e quindici meriterebbero di stare dentro. Da quando ho questo incarico, dal 2010, nell'avvicinamento al Mondiale scelte e decisioni hanno innescato polemiche, lo so. E' la conferma che il ciclismo italiano ha potenziale anche se negli ultimi anni non abbiamo avuto uomini adatti alle classiche».
Significa che ci manca un Bettini… «No, no... Manca un riferimento che dia garanzia di successo o quanto meno di risultato. Qualcuno s'è perso, qualcuno si ritrova».
Un paio di esempi? «Visconti per quello che sa far vedere quando sta bene non è ancora riuscito a esprimersi compiutamente. Un altro talento è Pozzato. Gliel'ho detto per primo a lui e non dico niente di nuovo: purtroppo ogni tanto va in letargo».
Troppo bello per vincere? «Vorrà dire che lo spettiniamo un po’... Mi fa piacere che si si risvegliato a ridosso del Mondiale».
Il percorso è adatto più a Pozzato o più a Nibali? «Vincenzo ha un limite, lo spunto veloce, e lui per primo lo sa: per vincere deve staccare tutti. Anche lui, come me, sta aspettando una ulteriore conferma da Pippo: nelle due prossime corse in Canada - che somigliano al percorso di Firenze - Filippo dovrà dimostrare di saper tener bene su percorso esigente. Se così fosse, Vincenzo sarà il primo ad apprezzare, perché due uomini importanti possono convivere. Nibali e Pozzato non si pestano i piedi. Nibali sa che Pozzato è più veloce; tutti e due sanno che non si può buttare via il Mondale in Italia per ambizioni personali. Per Pozzato potrebbe essere il Mondiale del suo riscatto ma non deve alzare la voce, ha perso troppo tempo».
Sarebbe un percorso perfetto per Bettini corridore? «Visto che oggi ho qualche chilo in più dico: sì, certo. A parole è tutto facile, ma bisogna arrivare a domenica 29 nella condizione giusta».
Un Mondiale in Toscana per lei che è toscano, un’occasione unica: che peso ha giocare in casa? «Questo Mondiale lo sentiamo tutti in maniera particolare, non solo io. Sì, sono toscano e non s'è mai corso un Mondiale in Toscana. Lo sognava Franco Ballerini, io lo considero il Mondiale di Alfredo Martini. Sono toscani che hanno fatto storia del nostro ciclismo. La Toscana è una regione dove c'è ciclismo tutti i giorni: è famosa per le gare del martedì con i ragazzini. Dai professionisti ai giovanissimi ci sono paesi che quando c'è la corsa fanno festa e spesso la corsa è nel contesto della festa del paese. Il ciclismo fa spostare le famiglie, non so che cosa potrà succedere a Firenze. E poi l'hanno capito anche i ragazzi che vogliono guadagnarsi la maglia azzurra».
Telefonano tutti per dire che stanno benissimo? «Al contrario. Molti di quelli che avrebbero potuto essere tra i convocati hanno alzato il telefono e si sono chiamati fuori da soli».
Può fare dei nomi? «Moreno Moser. Ha visto che dopo il Tour la condizione non brillava e mi ha detto: ti tolgo un problema, prenderei in giro te, me stesso, i compagni di squadra e tifosi. E' difficile che i giovani siano obiettivi e i miei ragazzi lo sono. Io apprezzo: ciò fa capire che oltre bravi in bici sono già uomini».
Nella sua squadra ideale quanti sono fissi e quanti ne mancano? «Al 90% la squadra è impostata, ne ho cinque o sei da valutare».
Da valutare anche Basso e Ratto, alla luce della tappa flagellata dal freddo dei Pirenei alla Vuelta, sabato scorso? «In una giornata particolare c’è chi soffre e chi gioisce, è la vita. So che cosa può aver provato Basso in quelle condizioni estreme, non si perde la condizione per una giornata negativa e lui è sempre importante e ho il dovere di valutarlo anche nel rispetto di chi è rimasto alla Vuelta».
Daniele Ratto è una sorpresa? «Mi fa piacere che sia riuscito a vincere, lo avevo sentito dopo la vittoria che gli avevano tolto alla Vuelta a Burgos. In ottica mondiale ha dato un bel segnale e mi sto imponendo d’avere sangue freddo. Ci sono corridori dai quali mi aspetto segnali che non arrivano e ci sono corridori che non erano nei miei pensieri e che invece mi impongono una riflessione. So che non devo ragionare sull’emozione del momento».
Che tipo di gara si può fare? «Due possibilità: ammazzare la gara per renderla più piatta oppure renderla cattiva come vogliamo noi».
Da commissario tecnico con la stessa mentalità del corridore: la piace così tanto la bagarre? «Sì, a me piace l'attacco. Ma un attacco giusto, in base alla logica della gara e tenendo conto degli avversari».
Pensa a marcature a uomo? «A Firenze c'è un solo uomo da fermare, da... attaccarti alla maglia e strappargliela: Cancellara. Si sta avvicinando a Firenze per vincere il Mondiale su strada. L'avete visto? E' magro, è diverso. Su via Salviati, se guadagna quattro secondi dove finisce il tratto duro rischia andare all'arrivo. Se crediamo su Nibali è inopportuno avere Cancellara in mezzo a quel punto».
Ha incontrato difficoltà nella gestione del gruppo? «No, in quattro anni non ho mai trovato problemi. Ci siamo autogestiti bene, dalle prime donne che allargano i gomiti ai giovani. Ho vissuto sulla mia pelle nazionali caotiche, l'armonia è alla base di una squadra forte». Da corridore lei lamentava ingerenze esterne nella composizione della squadra. Adesso a quanti attacchi deve far fronte? «Suoi ragazzi mai ricevuto pressioni. Se una società ha un atleta che merita è normale che lo sponsorizzi. Però a me è accaduto anche il contrario. Qualche direttore sportivo, qualche manager mi ha detto: lascia stare, non è in forma, non è l'anno giusto».
Come dev’essere corso un Mondiale? «Non possiamo più agire in tempo reale. Non possiamo utilizzare i collegamenti radio. Se dalla macchina ho necessità di lanciare un messaggio, che faccio, scendo? E' necessario pianificare prima e ed essere astuti durante. La mia arma vincente era studiare i miei avversari nelle gare premondiali: come si alimentavano, come muovevano i compagni di squadra, come affrontavano le salite, che rapporti usavano, con quale frequenza di pedalata. Sono segnali che i ragazzi devono percepire e in gara devono essere svegli a leggerli».
Come l'Italia, anche altre quattro-cinque Nazionali avranno proprie strategie di corsa, non staranno a guardare. «Bisogna seguire i leader, serve il mestiere. Se dico state davanti, non posso pretendere che qualcuno faccia la spola avanti e indietro verso la mia macchina. In questi anni ci siamo organizzati».
Come? «Le due riserve saranno fondamentali, mi dovranno dare una mano. Avremo dei punti di riferimento: almeno tre postazioni fisse dove poter comunicare con ragazzi senza fare troppe cose, spesso basta uno sguardo o anche un simbolo e loro capiscono».
Quanti simboli? «Pochi ma buoni sennò i ragazzi si confondono». Una volta avete utilizzato lavagne tipo Formula 1. «Quelle della F1 sono troppo grandi, usiamo quelle dei go-kart, le useremo anche anche a Firenze».
Un'analisi degli avversari. «Gilbert e Sagan a prescindere come si faceva con Freire. Sagan è molto veloce, alla Tirreno-Adriatico arrivava con Nibali e vinceva. Adesso ha vinto negli Stati Uniti. Poi ci metto Boasson Hagen, e due spagnoli. Valverde? Bisognerà vedere come uscirà dalla Vuelta. Poi c'è Rodriguez, la Spagna ne ha più di uno».
Il Belgio ne ha sette. «Sono due in meno da gestire. Noi sappiamo che la corsa di Gilbert sarà prevedibile: può stargli bene arrivare in otto in volata e anche essere chirurgico nell'ultimo giro. I belgi hanno anche Van Avermaet ma deve muoversi prima di Gilbert».
A Firenze conta solo vincere? «Il nostro obiettivo è fare meglio che possiamo. Se questo meglio è arrivare quarti mi roderebbe un po'. Il traguardo minimo è il podio. Se Nibali fa quarto dopo avere speso tutto con Sagan, Boasson Hagen e Gilbert, allora dovremo festeggiare Nibali quarto. Non mi sembra un grande scandalo se lo battessero, bisogna riconoscere la superiorità degli avversari».
Una domanda delicata: i corridori di oggi hanno il compito di riscattare le ombre inquietanti delle generazioni passate? «Chi è in gruppo sa avere grande responsabilità. Arrivano da anni difficili ma il lungo periodo nero è servito per costruire futuro diverso. Non mi sento di dire che abbiamo girato pagina. Siamo in tanti, se qualcuno vuole barare provi, ma il divario è sempre più ridotto».
Il caso più sconvolgente è stato Armstrong? «Quando Lance, dopo la malattia, vinse il Tour nel '99 un medico sportivo mi disse di non prenderlo come riferimento. Con il cancro, in Europa nessun medico gli avrebbe dato l'idoneità. Armstrong è stata una storia a sé».
Neanche Cipollini l'ha sconvolta? «Non me l'aspettavo. Sono anni che si parla della Spagna ed escono sempre fuori nomi con il contagocce: se è vero che c'erano 44 ciclisti e ne tiriano fuori uno l'anno andiamo avanti per ottant'anni. E non guardo agli altri sport. Dopo aver tirato fuori Cipollini che cos'hanno rrsolto?».
Pensa ci sia accanimento? «No ma si viaggia a senso unico».
Adesso ha cominciato anche l'atletica. «Piano piano qualcosa si muove, meno male».
Nibali è la persona giusta al momento giusto per riscattare questo periodo pieno di dubbi? «Nibali porta con sé tanti valori. Ha lasciato la famiglia a 14 anni e guida con attenzione il fratello minore Antonio: appartengono a una famiglia solida. Come lui, Visconti ha lasciato la Sicilia ed è diventato campione d'Italia».
Ci sono ancora medici compiacenti e genitori esasperanti. «Da bambino i miei genitori mi portavano alle corse con una Panda: prima c'era il pic-nic in pineta e poi la gara. Ora tra genitori e dirigenti si crea una miscela esplosiva. Bisogna cambiare mentalità».
Martini dice d’aver imparato da Binda, Ballerini da Martini. Lei ha imparato da entrambi? «Io ho imparato tanto da Franco. Al mio primo mondiale da corridore a Lisbona è arrivata la medaglia d'argento: non è stato un bel risultato, è stato un disastro, perché si poteva vincere. Ho vissuto vittorie e sconfitte e ho avuto un doppia fortuna: avere al fianco Alfredo. Oggi soffre per conto suo ma aspetta sempre la mia telefonata per capire che cosa io stia portando avanti. E mi saluta sempre con le solite parole: se hai dato il massimo puoi andare avanti per la tua strada a testa alta. Alfredo è un maestro».
Bettini, un auspicio per domenica 29? «Che Dio ce la mandi buona».
da «Il Corriere dello Sport» del 10 settembre 2013 a firma Nando Aruffo, Pietri Cabras e Francesco Volpe
non si ha il coraggio, o forse, la sfontatezza di affrontare certi argomenti, di insistere su certe domande...ad esempio, qui sopra, io avrei insistito sulla questione CIPOLLINI, invece, il Sig. Bettini se ne esce con una risposta diplomatica, pacata, senza nulla dare e nulla togliere, insomma, ci siamo capiti...
Poi, avrei fatto un'altra domanda al Sig. Bettini, ossia:"Per cambiare la mentalità/cultura del doping nel ciclismo, non sarebbe opportuno osare convocando solo ciclisti, ad oggi, estranei da qualsiasi vicenda o squalifica passata per doping?!?"...
Chissà se il Sig. Bettini mi rispondera' da qui...dubito..mah...
Francesco Conti-Jesi (AN).
Cipollini?
11 settembre 2013 23:12lele
..non me l'aspettavo....
Neanche io!
Se questo e' il nostro ct!
Lisbona?
12 settembre 2013 00:35forzaG
Si certo, a Lisbona si poteva vincere, ma non con te caro CT, ma con Simoni! Ma la tua fame di vittoria fece si che ordinasti al tuo compagno di squadra e di club, Lanfranchi, di andare a prendere Simoni, il quale aveva il mondiale in tasca. Tanto per te l'importante era che non vincesse un italiano, a parte te, ma piuttosto uno straniero, magari tuo compagno di club, la Mapei.....ed infatti Freire ringraziò!!!
E' lo specchio del nostro Presidente Federale!
12 settembre 2013 12:04valentissimo
C'è poco da fare, Di Rocco può volere solo Bettini, perchè è uguale a lui in tutto e per tutto!
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