TUTTOBICI | 22/06/2013 | 08:32 Scampati al terribile maggio del Giro d’Italia, con il muschio sotto le ascelle e l’artrite deformante in tutte le articolazioni, due cose mi sembrano assodate: abbiamo completato la costruzione del nuovo campione, Nibali, dobbiamo ancora completare la costruzione del Giro perfetto. Su questo secondo aspetto, c’è ancora molto fa lavorare. Soprattutto, su un aspetto fondamentale: il calendario.
Ci siamo capiti. L’ultimo maggio passerà alla storia chiaramente come eccezionale e magari irripetibile, però ciò non toglie che un Giro così anticipato, ai primi del mese, sia inevitabilmente destinato a finire sotto schiaffo da parte del meteo. L’hanno detto e scritto in tutte le salse: non esistono più le mezze stagioni. Non esistono certo per il Giro. Così, non possiamo più cadere dalle nuvole: in quel periodo, le nuvole stazionano stabilmente sull’Italia e ci riversano di tutto. Pioggia, neve, gelo. La corsa ne esce a dir poco condizionata, per non dire completamente stravolta. Il percorso finisce per contare relativamente, lo stesso spessore dei big in gara finisce per variare: fa più danni la grandine, emergono soltanto gli uomini yeti. Inutile nasconderci che la collocazione così anticipata del Giro è dannosa. Si arriva persino ai punti più clamorosi delle montagne cancellate, anche e soprattutto delle montagne più prestigiose, i nomi che rendono la corsa rosa nobile e aristocratica. Quando i francesi fanno tanto i fenomeni per il successo del Tour, a me piacerebbe chiedere per un paio d’anni il cambio di calendario: la loro corsa a maggio, il Giro a luglio. E vorrei vedere. Vorrei proprio vedere il Giro che passa lungo le nostre spiagge o sui nostri passi alpini a scuole chiuse, a vacanze avviate, a località turistiche piene, e con un gran sole a scaldare l’anima del pubblico. Vorrei proprio vedere, poi, chi ha la corsa più bella e più seguita…
Questo discorso, però, è solo un’amenità patriottica di genere fantasy. È chiaro che mai e poi mai il Tour mollerebbe luglio. Mi sembra pure giusto. Diverso però il discorso meno radicale, molto più realistico, di restituire al Giro una collocazione un po’ meno polare: in definitiva, sarebbe decisivo anche solo uno slittamento verso l’antico calendario, spostando la corsa di una o due settimane. Perfetto sarebbe riposizionarla nella seconda parte di maggio e nei primissimi giorni di giugno.
Allora sì che molte cose cambierebbero. Non si partirebbe più con l’incubo della terza settimana, con il terrore che il maltempo della tarda primavera possa sconvolgere percorsi e spettacolo. Certo un temporale o una spruzzata di neve possono sempre capitare nel modo più eccentrico, ma un conto è il caso sporadico, un altro è l’era glaciale dell’ultimo Giro.
Purtroppo, il Giro è anche vittima di se stesso. Alcuni anni fa, alla revisione dei calendari, con l’altro colpo di genio del mondiale a ottobre che non corre più nessuno, i vertici della corsa rosa accettarono senza battere ciglio l’anticipo del Giro. Accettarono persino la concomitanza con il Giro della California, se è solo per quello. Non dico che avrebbero potuto imporre tranquillamente il proprio interesse: dico soltanto che avrebbero dovuto battersi sanguinosamente per difendere il proprio patrimonio. Certo si può fare ancora, perché niente è immutabile. Si tratta di prendere atto di questa emergenza - emersa in modo eclatante all’ultimo Giro - e ripartire a livello politico con una richiesta precisa. Non avremo il peso del Tour, ma non siamo neppure la sagra del radicchio, dopo tutto. Spero proprio che Acquarone e Vegni, ai tavoli giusti, comincino a picchiare qualche pugno.
In caso contrario, meglio rassegnarci. Partendo ai primi di maggio, ci portiamo dietro la maledizione. Inutile però lamentarci. Dobbiamo sapere che più del percorso, più delle montagne mitiche, più dei campioni ingaggiati, più di tutto conterà e deciderà il meteo. Però poi voglio vedere quanti big avranno ancora voglia di venire al famigerato Giro On Ice.
alternare giro e tour a luglio ogni anno...e magari (ma questa è tutta un'ltra cosa) fare corse da 15 tappe invece di 21, siamo onesti 5-6 sono abbastanza inutili(non intendo quelle per velocisti, che se non ci fossero arriverebbe la fuga ogni giorno, ma quelle completamente piatte che non sono altro che un trasferimento con tre km di corsa vera)
22 giugno 2013 12:29angelofrancini
Ancora una volta, come nel novanta delle decisioni adottate dall'UCI, finiscono per prevalere gli interessi di pochi che condizionano le scelte di tutti: nel senso che gli altri devono subire il calendario propedeutico agli interessi di questi signori.
In seno all’AIOC Internazionale, che ha voce nella stesura dei calendari mondiale ed internazionali all’interno dell’UCI, chi siedeva? : gli organizzatori del Giro (quelli che sul piano decisionale tecnico precedevano Zomegnan).
Le valutazioni, a quell’epoca, spingevano verso questa soluzione: forse non è stato soppesata l’importante influenza dei fattori metereologici che possono incombere nel nostro paese, circondato al nord dalle più alte montagne d’Europa.
Per non parlare di concomitanza con il Giro della California: è una corsa nata maggiorenne, nata oltre che con la camicia anche con la cravatta (dell’UCI), come molte altre corse inserite negli ultimi anni nel calendario mondiale. In questo calendario troviamo corse nelle quali abbiamo visto, in TV, transitare all’arrivo i primi in un senso di marcia e gli inseguitori nel senso opposto: eppure sono state promosse di categoria dell’UCI.
Uno stesso errore di valutazione politico/sportiva venne fatto, oltre venti anni orsono, dalla nostra Federazione nel sostenere l’adozione della licenza unica. Decisione che, dimostra quanto sia stata sbagliata e scriteriata quella scelta, che oggi ha provocato solamente un proliferare di gruppi sportivi “professionistici” che sono serviti solo nel rimpinguare le casse dell’UCI.
Allora quella scelta, forse, aveva un fondamento logico: bisognava contrastare lo strapotere, nei grandi appuntamenti internazionali dilettantistici, dei paesi dell’est che indusse la FCI ad andare in quella direzione per cercare di contrastarlo. Ma mentre si discuteva questa modifica, si verificò il passaggio al professionismo di quei grandissimi atleti dell’est (molti russi all’Alfalum, ma anche i vari tedeschi dell’est Ludwig, Seeler, Raab) avrebbe dovuto indurre alla valutazione che quella scelta non aveva più alcuna ragione di esistere. Eppure venne introdotta con grande soddisfazione dei nostri dirigenti a quell’epoca in ambito UCI (FICP e FIAC).
Oggi la necessità della licenza unica (elite c.c., elite s.c., U23) serve meno ancor meno di allora: bisognerebbe avere il coraggio di tornare all’antico, reintroducendo una netta distinzione fra dilettantismo e professionismo (nel senso di qualifica degli atleti, ma prima di ogni cosa sul tipo di attività cui si può partecipare). Perché alcuni atleti possono confrontarsi ogni giorno nelle corsse riservate ai grandi del ciclismo mondiale e poi sono esclusi dal correre il campionato nazionale professionisti?
Se vogliamo essere credibili dovremmo avere la forza di affermare che quello, rappresentato da numerose compagini riconosciute “professionistiche” dall’UCI, non è affatto ciclismo professionistico e, nello stesso tempo, affermare che alcune formazioni dilettantistiche italiane (per la struttura e le capacità messa in campo) avrebbero in quella logica maggior titolo sportivo (qualità) di molte di quei team Continental UCI.
Comunque per ritornare al discorso iniziale concordo che il Giro d’Italia debba tornare in una data che gli permetta di esprimere e sfruttare tutte le caratteristiche del territorio proprie del nostro paese.
Senza dimenticare che l’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’UCI.
Su questi due punti, tutela del patrimonio organizzativo italiano e ritorno ad una distinzione chiara fra dilettantismo e professionismo, credo che come movimento ciclistico italiano dovremmo aprire un serio confronto che riporti il nostro sport ai suoi valori tradizionali e storici: lo “sport per tutti”, slogan di moda nei nostri giorni, non può far parte del professionismo sportivo.
Non si deve permettere l’affermazione del principio che l’interesse di chi gestisce il movimento prevalga sul movimento stesso (come oggi accade troppo spesso).
Ed allora chiedo se è irreversibile che il cinquanta per cento del movimento ciclistico (non legato agli atleti) imponga delle scelte basate sui propri interessi, perché anche l’altro cinquanta per cento (gli atleti) non debba avere gli stessi diritti.
Che differenza vi è fra questi due tipi di “dopaggio”: solo chi pedala deve essere sempre pulito, per permettere agli altri di poter meglio vendere il prodotto alla base dei loro interessi!
Lotta al doping si (essendo per una ferma lotta al doping, non però contro la cura dell’atleta che gli permetta di esprimersi al meglio), ma in tutte le direzioni anche quelle intellettuali. Perché quando si legge che ad un soggetto è permesso di vendere i suoi diritti di iscrizione (per i prossimi cinque anni nei World Team) ad un nuovo soggetto o, che una gara viene iscritta in World Tour (alla prima richiesta) mi chiedo che differenza esista “sul piano sportivo” fra questi fatti e quell’atleta brocco che, grazie a similari stratagemmi, di colpo diventa campione!
Personalmente penso nessuna, perché ognuno dei due persegue il solo proprio interesse! In quanti (acclamati come grandi sportivi dal nostro sistema) rischiano la vita in imprese assurde (e con sponsorizzazioni milionarie) e nessuno si scandalizza per ciò o ne contesta la disputa.
Quindi se lo sport deve essere pulito (concetto che condivido) lo deve essere in tutte le sue componenti!
Rcs vecchia e da rifondare
22 giugno 2013 15:47falappala
Lo sbaglio l'ha fatto Rcs, quando anni fa come citato nell'articolo, fu chiesto al Giro o alla Vuelta (che si disputava in aprile) di slittare a Settembre. I fenomeni del Giro risposero che si tenevano stretto il loro storico maggio, con tutte le conseguenze del caso.
Il Tour è la corsa più ben organizzata e merita la collocazione che ha. Se il Giro corresse a luglio, non raggiungerebbe i picchi di ascolto e popolarità del Tour, perchè l'ital-organizzazione non saprebbe valorizzare la stagione come fa il Tour. Dubito che le strade italiane sarebbero piene di gente. Basta vedere la tristezza assoluta dei campionati italiani su strada in Trentino.
L'idea di spostarlo un paio di settimane più avanti potrebbe essere comunque buona, anche perchè comunque al Giro non ci verrebbe nessuno di forte e non certo per la vicinanza con la corsa francese.
Dobbiamo svegliarci e capire che non siamo più ai tempi di Coppi e Bartali, ma Rcs sembra non capirlo.
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