CANNONDALE | 01/04/2013 | 16:39 Non è ancora riuscito a vincere nella massima categoria, ma è riconosciuto da tutti come una delle promesse più interessanti del ciclismo italiano. Ha venticinque anni e arriva da Ragusa, testa sulle spalle e idee chiare, il suo nome è Damiano Caruso. «Non posso essere considerato un “capitano”, anche perché un capitano che non ha vinto una corsa non si è mai visto. L’intenzione della Cannondale però è di valorizzarmi, ne sono onorato e cercherò di non deludere le aspettative di chi mi sta dando fiducia. Per questo devo iniziare a vincere». Professionista dal 2010, 178 cm per 65 chili, l’anno scorso ha vestito per sei giorni la maglia bianca di miglior giovane al Giro d’Italia dimostrando di avere tutte le carte in regola per ambire nei prossimi anni alla generale dei grandi giri, ma vuole tenere i piedi per terra. Anzi, sui pedali perché «prima devo dimostrare quanto valgo a suon di risultati, solo dopo potremo pensare in grande». Chi è Damiano Caruso? «Iniziamo con una domanda difficile (sorride, ndr). Un ragazzo normalissimo, come ce ne sono tanti, a cui piace stare in compagnia con gli amici ed è felice di quello che fa. Vivo a Ragusa con la mia fidanzata Ornella. Amo trascorrere il tempo libero in famiglia, rilassandomi a casa o uscendo a cena con gli amici, stando tranquillo. Oltre al ciclismo in passato ho praticato calcio e in inverno, senza rischiare di farmi male, mi diverto partecipando a qualche partitella con gli amici. In che ruolo? Centrocampo. Da buon siciliano sono una buona forchetta, mi piace proprio mangiare! Preferisco il salato al dolce. Quando ero più piccolo avevo un rapporto complicato con il cibo, ma con gli anni il nostro feeling è migliorato. Vedevo il mangiare un po’ come un nemico, avevo la fissa della linea e mi creavo da solo diete caserecce, che alla fine sono quelle più controproducenti. Ora per fortuna ho un rapporto decisamente più salutare con il cibo. Non so cos’altro aggiungere, cosa volete che vi racconti?». Raccontaci di quando hai iniziato a pedalare. «Il motivo principale per cui ho cominciato è che ero un po’ grassottello. Un’estate ho provato ad andare in bici per perdere peso, all’inizio con la mtb, poi appassionandomi a questo sport ho scoperto anche la bici da strada. Ho iniziato davvero per gioco facendo qualche giro con Maurizio, un cicloamatore amico di papà, man mano l’interesse per la bicicletta è cresciuto e ho iniziato a prendere il ciclismo più sul serio finché è diventato un lavoro. Ho iniziato a correre a quindici anni, tardi rispetto alla maggior parte dei miei colleghi anche perché da bambino non seguivo il ciclismo, in famiglia erano tutti appassionati di calcio. Visto che da ragazzino non seguivo il ciclismo non ho mai avuto un campione del cuore, uno da cui posso dire di aver tratto ispirazione. Forse è scontato, ma il primo ad appassionarmi è stato Pantani». La tua prima gara in assoluto? «Ero juniores primo anno e avevo una biciclettina Liang gialla. Ricordo che ruppi il cambio, ero così inesperto che feci un casino e fui costretto a ritirarmi. Il primo risultato? Qualche settimana più tardi, vinsi una gara in Basilicata». Da piccolo, come ti immaginavi “da grande”? «Non avevo un’idea precisa, il mio sogno era di pilotare un aereo. Per ora non l’ho realizzato, ma con il lavoro che faccio obiettivamente di aerei ne prendo tanti quanti un pilota (scherza, ndr)». Che tipo di corridore sei? «Penso di essere abbastanza completo. Non sono un fuoriclasse né in salita, né in pianura, ma sono abile a difendermi un po’ dappertutto. Ho anche un buono spunto veloce. Negli ultimi anni sono migliorato parecchio negli sprint, in gruppi ristretti quasi sempre riesco a piazzarmi». Quale ritieni sia il momento più importante nella tua giovane carriera? «Senza dubbio il Campionato Italiano che ho vinto nel 2008 tra gli Under 23, ero sconosciuto. Quel tricolore è indubbiamente stato il momento chiave. Da quel giorno ho iniziato a chiedere di più a me stesso, quella vittoria è stata la molla grazie a cui sono arrivato al professionismo». Qual è la gioia e quale il rammarico più grande che hai legato alla bici? «Il momento più difficile l’ho vissuto senz’altro l’anno scorso quando ho rischiato di smettere di correre per una incomprensione, chiamiamola così, con la federazione (Damiano ha ricevuto a febbraio 2012 una squalifica di un anno a decorrere dal 6 ottobre 2010 e da considerarsi estinta in data 5 ottobre 2011, quindi retroattiva e senza stop dalle corse, dal TNA per una complessa vicenda di doping risalente al 2007 quando era dilettante, per la quale inizialmente il CONI aveva richiesto per il siciliano addirittura una squalifica di 4 anni, ndr). Ho davvero temuto di dover appendere la bici al chiodo. Il più bello è capitato pochi mesi dopo, quando ho vestito la maglia bianca al Giro d’Italia. Personalmente è stato un piccolo riscatto, una gratificazione tutta per me». Chi ti senti di dover ringraziare per dove sei arrivato? «Prima di tutti la mia famiglia: mamma Carmen, papà Salvatore e Federico, mio fratello minore che studia ingegneria a Pisa, la mia fidanzata e Giuseppe Di Fresco, da quest’anno ds della Fantini Vini, che fin dalle categorie giovanili mi è sempre stato vicino. Mi ritengo fortunato perché ho vissuto tanti anni fuori di casa, principalmente in Toscana (per tre anni ha difeso i colori della Mastromarco, ndr) e lungo la mia strada ho incontrato tante persone che hanno voluto il mio bene». Dopo il debutto in maglia De Rosa Stac Plastic, tra i professionisti hai sempre indossato la maglia della Liquigas. Cosa hai imparato da questo team? «Tantissimo, grazie al confronto con corridori importanti come Nibali e Basso, ma anche dai tecnici con cui ho avuto modo di lavorare. Appena sono passato, i diesse in particolare mi hanno fatto notare dei dettagli che sottovalutavo o non curavo come si deve, anche se all’inizio magari ho fatto fatica a capire piccoli aspetti riguardanti l’alimentazione, l’allenamento e la “vita da corridore”, alla lunga hanno avuto ragione. Ora abbiamo cambiato nome, siamo i ragazzi della Cannondale ma per noi atleti cambia poco perché l’organico è rimasto identico. Certo che vedere quanto si sta impegnando il nostro nuovo primo sponsor (non avete idea di cosa è stata la presentazione a Hollywood!) è uno stimolo per continuare a far bene e dare il massimo per gratificare una grande sponsorizzazione che deve essere ripagata al meglio». Non sei ancora riuscito a vincere tra i professionisti: il 2013 sarà l’anno buono? «Speriamo! Ormai questa è diventata una barzelletta che non fa più ridere. Sai, al riguardo con i compagni si scherza e anche se sono uno che sta volentieri al gioco, questa situazione un po’ la soffro. Sono andato vicino così tante volte alla vittoria ma per un motivo o per l’altro nella massima categoria non ho mai concluso. Quale corsa vorrei far mia? Per iniziare qualunque, va bene anche il giro del campanile! La corsa dei miei desideri? Una classica, su tutte la Liegi-Bastogne-Liegi, ma è un sogno nel cassetto». Quest’anno ti vedremo impegnato al Giro e poi al Tour. Come ti stai preparando a questo duplice appuntamento? «Con i compagni che svolgeranno il mio stesso programma abbiamo trascorso un ritiro di quindici giorni sul Teide prima di prendere parte al Gran Premio di Lugano, nostra prima corsa stagionale, e alle prove del calendario italiano: GP Camaiore, Giro del Lazio, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo. Dopo la Classicissima torneremo per altri quindici giorni a Tenerife, per prendere successivamente parte alle Classiche del Nord (Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi). Insomma nella prima parte di stagione avrò più giorni di ritiro che di corsa. Per quanto riguarda i grandi giri, daremo il massimo, sfruttando tutte le nostre carte. Personalmente, nel 2013 mi aspetto di crescere e migliorare, come sto riuscendo a fare ogni anno, e di ripagare la grande fiducia che mi sta dando la squadra. Non mi è stato affidato il ruolo di capitano, anche perché - come vi ho già detto - un capitano deve essere vincente e io non ho ancora dimostrato di poterlo essere, ma l’intenzione dei tecnici della Cannondale è di valorizzarmi. Per questo sono onorato e cercherò di non deludere le loro aspettative». L’anno scorso hai indossato la maglia bianca di miglior giovane al Giro: nei prossimi anni pensi di poter lottare per quella rosa? «Eh, magari! (sorride, ndr). Non lo so, davvero non voglio e non posso sbilanciarmi così tanto. Come si fa a pensare così in grande se sono ancora a quota zero vittorie? Ho dimostrato di avere un’attitudine per i grandi giri perché ho un buon recupero e sono abbastanza completo, quindi in un futuro chiaramente mi piacerebbe poter puntare alla classifica generale delle grandi corse a tappe, ma è presto e difficile fare pronostici nella mia situazione. Prima di parlare, devo dimostrare quanto valgo con i risultati». Uno che il Giro d’Italia l’ha vinto, ben due volte, come Basso nella cover story di tuttoBICI del mese scorso ha dichiarato: “Damiano avrà la possibilità di far vedere di che pasta è fatto. Ha i numeri per essere un grande corridore: quest’anno deve farlo vedere”. «Le parole di Ivan mi fanno piacere, ma non mi sorprendono perché so quello che pensa di me. Sono accerchiato da gente che mi stimola e crede molto in me. Io sto facendo di tutto per dar loro ragione, dal Giro d’Italia dell’anno scorso sto lavorando senza lasciare nulla al caso per far sì che questo avvenga e regalare a loro e a me delle belle soddisfazioni. Fino a un anno e mezzo fa io e Ivan eravamo semplici compagni di squadra, o meglio lui era Basso e io uno dei tanti che aveva in squadra, negli ultimi tempi abbiamo avuto modo di passare più tempo assieme e tra noi è nato un nuovo tipo di rapporto, che va al di là di quello lavorativo, ora posso dire che siamo amici». Dove può arrivare Damiano Caruso? «Non so dove può arrivare, ma so cosa vuole: vincere. Dove, come e quando non lo so: voglio cominciare a vincere tra i professionisti, riprovare quella sensazione che mi manca da troppo tempo, ritrovare la strada del successo. Per traguardi più alti, per alzare l’asticella e svelare le mie ambizioni ci sarà tempo, prima devo dimostrare (in primis a me stesso) di poter essere il migliore sulla strada».
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