Manuel Belletti, piedi blu ricordo di Sanremo

STORIA | 21/03/2013 | 15:47
Tre giorni dopo, la Milano-Sanremo gli è ancora dentro. Nelle ossa. E se le mani hanno ripreso la sensibilità, i piedi continuano a essere sordi. Come se non gli appartenessero più. Come se fossero di un altro.
Manuel Belletti se la ricorderà per sempre: «Sapevo di soffrire il freddo, e mi ero equipaggiato come se dovessi fare non del ciclismo, ma dell'alpinismo. Maglietta-pelle, maglia e due mantelline, due paia di guanti in neoprene, il primo aderente, il secondo misura "large", puntali in wintex e copriscarpe in goretex, fascia in testa e casco chiuso. Tutto bene finché la pioggia non è diventata neve, la temperatura è precipitata e ho cominciato a congelarmi. Gli ultimi 15 km prima di Ovada li ho fatti in semincoscienza: non riuscivo a parlare perché avevo la bocca paralizzata, non riuscivo a vedere perché gli occhiali erano ghiacciati, andavo avanti alla cieca, solo per forza di volontà e perché negli ultimi 5 km l'ammiraglia mi si è affiancata. Al punto di ritrovo delle squadre, sono stato fatto scendere dalla bici, caricato sul pullman, spogliato, messo sotto la doccia, da acqua fredda ad acqua tiepida. Le dita dei piedi erano blu. E mi sono spaventato: capivo quello che succedeva, ma non riuscivo a comandare il corpo, come se i collegamenti fra testa e braccia, fra testa e gambe fossero interrotti».
Il velocista dell'Ag2R ha chiuso lì la sua Sanremo: «Non avrei mai voluto abbandonare. Partecipare è un privilegio, e poi è una corsa che ha un fascino irresistibile. Mi era già successo di correre in condizioni difficili, ma queste erano estreme».
Tornato a casa, «lunedì ho fatto un'ora di rulli, ma il mio era un corpo estraneo, martedì due ore in bici, ma pedalando con le ginocchia, oggi (ieri, ndr) due ore e mezzo, ma quando stavo sui pedali, era come se non avessi appoggio, come se pedalassi a vuoto. Il medico mi ha detto che ci vorrà del tempo. Ma non si sa quanto. Io spero poco. Avrei dovuto correre tre gare, fra oggi (ieri, ndr) e domenica, in Belgio. Ma così, come si fa?».

da «La Gazzetta dello Sport» del 21 marzo 2013 a firma Marco Pastonesi
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COMMENTI
SEI GRANDE
21 marzo 2013 18:53 berto41
ALLA FACCIA DI CHI SA SOLO CRITICARE ,TUTTI I CICLISTI SIANO DA ESEMPIO PER I SACRIFICI CHE DEVONO FARE PER PORTARE A CASA LO STIPENDIO

incredibile
21 marzo 2013 21:27 rufus
Incredibile, penso che solo in pochi altri sport (penso ad esempio al pugilato),venga richiesto un livello di sacrificio fisico cosi' alto. Complimenti a tutti, soprattutto a quelli che la Sanremo non sono riusciti a finirla.

organizzatori?
22 marzo 2013 08:41 depeche
Francamente trovo strana l'idea di far percorrere i corridori 1 ora sotto la neve quando si era già deciso di fermarli a Ovada.
Non si potevano far salire subito sulle ammiraglie appena iniziata la neve

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