
“It’s time for Africa”. E se avesse proprio ragione lei, Shakira, il cui motivetto viene sparato a palla nel luogo nevralgico di questo mondiale che inizia? “Siete pronti? Non è una gara, divertitevi” – raccomanda lo speaker ai 700 – quota massima consentita- partecipanti di questa Social Ride, evento ambientato lungo il tracciato dei 15 km che verrà affrontato per altrettante quindici volte durante l’ultimo atto della rassegna iridata.
Una tarda mattinata del sabato nella quale può capitare di pedalare a centro strada ed avvertire lo spostamento d’aria del passaggio di Tadej Pogacar in ricognizione per la crono del giorno inaugurale. Ma di Social Ride parliamo, dell’atmosfera frizzante e partecipata del Tugende, oasi del ciclista frequentata da persone provenienti da mezzo mondo, europei in buona proporzione. Ci si imbatte in un signore di mezza età vestito di tutto punto con il completo del tour operator belga, pardon fiammingo, specializzato in viaggi a misura di chi pedala e la divagazione sull’Italia ci scappa: “ho amato Marco Pantani e ho una predilezione particolare per lo Stelvio, scalato sei volte. Quanto al pavè equatoriale, mai avrei pensato di imbattermi nei cubetti a queste latitudini”.
INCONTRI ASSORTITI E PAVE’ SOTTO LE RUOTE
Procediamo per ordine, visto che nella tornata l’impennata in cui l’asfalto cede posto a sanpietrini di grandi dimensioni arriva quando al passaggio sotto il traguardo mancano circa due chilometri. Allineate in griglia, ecco un folto nugolo di ragazze del Bike for Future cycling team, “associazione il cui scopo – spiega un responsabile - è quello di favorire il ciclismo femminile come forma di empowerement di genere”.
Tace la musica, inizia il conto alla rovescia e si va, compresa la ministra dello sport, ognuno del suo passo (giustificati ma “puniti” gli autori di una partenza troppo spedita), con buona lena il console onorario d’Armenia in Belgio, fiammingo pure lui ed appassionato delle due ruote praticate e dello chardonnay di Langa. “Io sono arrivato ieri sera ma a questa manifestazione non volevo in alcun modo mancare, suggestionato anche dalla possibilità d’osservazione che offre il Rwanda nella sua interezza” racconta John Riddy, artista inglese che guarda il mondo dall’obiettivo di una macchina fotografica. Per i vialoni della prima parte del mondiale, Social Ride significa anche prove generali di assetto organizzativo, non solo piacevole chiacchierata con un professore dell’Università di Parma che viene spesso qui, o meglio a Musanze (un centinaio di chilometri dalla capitale); “Mi occupo di energie rinnovabili e ho strategicamente acquistato una bici a Kigali, così da poterne disporre quando sono in Rwanda”. Energia rinnovabile a pedali: Metafora accolta?
“ESPERIENZA UNICA ED UNA SETTIMANA DENSA DI EMOZIONI”
Alle transenne non manca chi si sporge per un cinque con il partecipante, distratto dall’avvistamento dei Campioni con la C maiuscola, soffermandosi una volta di più sulla durezza del tracciato. Non solo commisurata all’andatura moderata di cui parlava lo speaker qualche minuto prima. “Qui sono di casa dal 1995, immediatamente dopo il Genocidio: ho sposato una rwandese e viviamo a Bruxelles, dove sono traduttore in ambito europeo. Ma sono olandese, altra terra vocata quando si parla di ciclismo, cosa dite?”: se anche si volesse (perchè mai) dare torto all’amico Willy, prodigo di consigli di viaggio ciclistico nel Paese delle Mille Colline, ogni residua tentazione svanisce il passaggio di fronte a Casa Olanda, proprio sulla salita in pavè, con tanto di tribunetta e insegna Heineken troneggiante. Ritroviamo il poliglotta olandese al Tugende, in compagnia di Jean Claude, 23enne rwandese che incanala la propensione per ogni cosa abbia i raggi anche in veste di meccanico ed accompagnatore di viaggio: “esserci quest’oggi è stato davvero unico, quelli della mia generazione sanno bene, anche grazie all’annuale Tour du Rwanda, che gli eventi ciclistici internazionali sono fondamentali per portare all’attività ciclistica nuovi giovani e giovanissimi praticanti. Da oggi inizia la full-immersion, non voglio perdermene neanche un pò, anche se un giro in gravel lo faccio volentieri, perchè no dirigendomi verso il Mount Kigali ed il Mur de Kigali, con il suo pavè di 400 metri all’undici per cento di pendenza. In quel posto l’entusiasmo sarà difficile da contenere”. Prima, però, tocca alle lancette.
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