
“Valerio ha 86 anni. E’ l’ultimo riparatore di biciclette del centro di Bologna. Bologna è in gran parte una città di ricchi, viziati e motorizzati, quando si rompe una bicicletta se ne compra un’altra. Ma tanti non hanno i soldi per farlo, e anche se hanno delle biciclette vecchie, vanno da Valerio. Che impreca, bestemmia, dice che quella bici è un rottame, e non si può aggiustare. Ma alla fine lo fa”.
Stefano Benni scriveva “Il grande Valerio” nel 2013 per la rivista “Al Doha”, nel 2014 il testo veniva ripubblicato nell’antologia “Una bella bici che va” (di autori vari, a cura di Isabella Borghese, Giulio Perrone Editore, 176 pagine, 14 euro).
“Valerio ha fatto la guerra partigiana, è stato ferito, gli hanno ammazzato un fratello. E dopo la guerra si è messo subito a lavorare in una fabbrica di biciclette da corsa. La bici, ripete sempre, è una delle più grandi invenzioni dell’uomo, insieme al camino e alla fisarmonica”. “Poi sono passati gli anni. C’è stato il boom delle auto. La fabbrica è fallita, Valerio si è sposato e con la moglie ha messo su un piccolo negozio”.
Benni è morto il 9 settembre, a Bologna, dov’era nato 78 anni fa. Scrittore, umorista, giornalista, poeta, drammaturgo. Viveva di parole, scriveva romanzi, poesie, racconti, sceneggiature. “Non esiste una biografia del lupo Benni – parole sue - perché da trent’anni, tutte le volte che gliela chiedono, il lupo la cambia, dicendo un sacco di balle, o quasi-balle. Poiché nessuno ha mai controllato, Benni si è divertito a costruirsi almeno dodici biografie diverse. Eccone una che è quasi vera”. Si può leggere nel sito stefanobenni.it.
“Qualche anno fa, la moglie di Valerio è morta. E lui ha cominciato a diventare muto e silenzioso”. “Poco tempo fa Valerio, a furor di popolo, ha riaperto. Sono andato a trovarlo. Come sempre imprecava perché non trovava i pezzi per riparare una bicicletta vecchia di trent’anni”.
Benni amava più il calcio del ciclismo, più i bar dei salotti, più la fantasia della realtà, più l’ironia della critica. Aveva coraggio: con Altan e Pietro Perotti creò il Museo delle Creature Immaginarie per sostenere Amref, la più grande onlus sanitaria africana.
“Mentre eravamo lì è entrato un immigrato, un ragazzo lungo lungo e nero nero”. “Vorrei una bicicletta usata, ho pochi soldi. Mi serve per andare al lavoro”, “apprendista meccanico”, “ho solo venti euro”. “Vaffanculo, te la do gratis. Ma non dirlo a nessuno”.
Ho pensato a Benni, a Valerio, al ragazzo immigrato lungo lungo e nero nero, anche ai Mondiali di ciclismo in Ruanda. “Non me ne andrei mai da quella botteguccia che odora d’olio e gomma”. Neanch’io.
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