CAVENDISH. Man of Man

| 26/09/2011 | 09:01
Vi riproponiamo un articolo dedicato al mondo di Cavendish, realizzato intervistando i suoi amici dell'Isola di Man. Quell'isola che si prepara ad accogliere il suo ragazzo come un trionfatore con... una zuppa molto speciale.

Fare una scappata da Geoff è come entrare nel mondo privato di Mark Cavendish. Geoff Qui­ne vive in un mo­de­sto villino di Ballasalla, a sud di Douglas, la capitale (con i suoi 25.000 abitanti) dell’Isola di Man. Da tempo è in pensione dopo aver lavorato per la compagnia di navigazione con la quale Cannonball per andare a correre raggiungeva l’Irlanda o il nord ovest del­l’Inghilterra. Sei ore di mare tra andata e ritorno. Oggi è un treno che riempie le giornate di Geoff, andatura dritta da vecchio lupo di mare. Un au­ten­tico treno a vapore attivo su una linea ferroviaria costruita nel 1874, che passa proprio in fondo al suo giardino: «C’è un solo punto in cui due locomotive si possono incrociare e i macchinisti si devono passare un’asta di ferro con la quale scambiare i binari. Devo sorvegliare che tutto avvenga in perfetta si­curezza».
Una vecchia stazione di posta: è questo lo spirito che regna in casa di Geoff. Una dozzina di corridori sono entrati senza bussare. Hanno posato le loro cose vicino ad una stufa a carbone, ac­cesa perché il tempo da queste parti raramente è bello. Si sono seduti attorno ad un tavolo sul quale una enorme teiera borbotta come un treno a vapore e sembra pronta a trascinare vagoni di vassoi di biscottini. «È la soup run (la zuppa da corsa, ndr), tradizionale ap­puntamento del mercoledì mattina che Cav non saltava mai - spiega Rob Hol­den, professionista con la Subaru nel 1992 -. Sul tavolo solo dolci “vietati” e un grande spirito di cameratismo, un momento che Mark adora. Questo grup­po è un luogo di trasmissione: Cav qui si è forgiato il carattere, il fisico, l’astuzia perfino a contatto con gente più grande di lui. Tre ore di bicicletta su queste stra­de, valgono cinque ore da altre par­ti: Mark è cresciuto ad una scuola mol­to rude».
Nelle pagine di Boy Racer, la sua biografia, Mark Cavendish lo conferma: «Devi essere un duro, devi avere una grande passione. Altrimenti ci sono sem­pre troppo vento, troppo freddo e troppe scuse per fare qualcos’altro: il ciclismo qui è un sistema perlomeno curioso per soffrire atrocemente»
Non è arrogante! Sul muro del salotto di Geoff, c’è una foto incorniciata: i ragazzi della soup run sorridono allineati in un di­sordine gioioso. Mark Caven­dish è di fianco, le braccia stese e le mani giunte che gli danno un’aria impacciata. Indossa la maglia blu della Columbia: la foto è del 2008, l’anno in cui vinse quattro tappe al Tour. E non c’è traccia dell’arroganza che Marc sembra sfoderare in corsa. «Arrogante? - si chiede il placido Geoff indicando il pavimento - Che mi possano seppellire qui subito se men­to, Mark non è certo arrogante! Il vero Ca­vendish è quello che conosciamo qui: mo­desto, sereno, pronto a preoccuparsi della crescita dei giovani ogni volta che torna sull’isola. Oggi Mark sponsorizza Tim Kennaugh (il fratello Peter, prof alla Sky, ndr) e Chris Whorall finanziando la loro attività in Italia, dove stanno correndo».
Rob Dooley, per tutti Dools, è il mi­glior amico di Mark sull’Isola ed è pronto a spiegare: «Ci sentiamo spesso ma lui non ha mai parlato di questo problema di distacco tra la sua immagine e quello che è davvero, per cui deduco che non sia un problema. Se lo paragoniamo a Freire o Farrar, dicia­mo­­lo, è un ragazzo tutto d’un pez­zo che dice quel che pensa»
Gli inizi. Il gruppo che è a casa di Geoff si è ra­dunato come sempre alle 9.15 e procede vero l’anello d’asfalto del Natio­nal Sport Center. È qui che tutti i martedì sera 200-250 bambini e ragazzi dai 4 ai 16 anni si trovano per correre ed è qui che Cavendish ha iniziato a correre. È qui che Mike Kelly l’ha visto per la pri­ma volta: «Mark è venuto prima in sella ad una BMX, poi con una mountain bike - spiega l’atleta che ha partecipato tre volte ai Giochi del Common­wealth tra il 1970 e il ’78. Quando aveva dodici anni è venuto a chiedermi consiglio e sono diventato il suo allenatore. Quando tornavo dal lavoro, era là che mi aspettava per allenarsi. Un giorno, in pieno sforzo, gli caddero gli occhiali. Stavo per fermarmi ma lui mi gridò: “No, no, continua: torneremo a prenderli più tardi”. Si al­lenava sempre a tutta, non mollava mai».
Con una lacrima che spunta sul ciglio, aggiunge: «Attorno ai quindici anni gli ho detto “Mark, lo sento, diventerai un grande campione. Allora, ti prego, non scordarti di me...”. Qualche anno più tardi, quando ha vinto il mondiale dell’americana, ho ricevuto una telefonata: “Hai visto che non ti ho dimenticato?”»
Bancario coccolato. È stato Mike Kelly a trovare un posto alla banca Barclays per Mark Cavendish, quando suo padre David e sua madre Adele si sono separati: «Aveva sedici anni e non voleva più studiare. Ho avuto lo stesso problema con mio figlio, che era un buon corridore, e la Barclays era la so­luzione ideale, perché gli orari flessibili lasciavano il tempo per allenarsi e da­vano la garanzia di un diploma al termine dell’apprendistato. La madre di Mark venne a trovarmi, totalmente a digiuno di ciclismo, e mi chiese “Lei ritiene che il suo potenziale sia all’altezza dei suoi sogni?”. Mark sapeva che non avrebbe mai fatto carriera in ban­ca (ci è rimasto due anni, ndr) ma si è sempre impegnato a fondo. Allo sportello è subito diventato il cocco delle vecchie signore che chiedevano espressamente di lui».
Nel suo libro, Cavendish racconta an­cora: «Facevo di tutto per rendere il mio lavoro stimolante. C’era un re­cord ufficioso di transazioni fatte in un sol giorno e io mi misi in testa di batterlo».
La voglia di competizione ha sempre animato Cav, come spiega An­drew Ro­che, il vero compagno di al­lenamento di Mark sull’Isola: «Aveva un video gio­co del Tourist Tro­phy (la corsa motociclistica che ha reso famosa l’Iso­la di Man nel mondo, ndr): beh, se qual­cuno batteva il suo record, giocava fino a quando non faceva segnare un tempo migliore».
Roche non ha mai smesso di es­se­re stupito da Cavendish: «L’an­no scorso eravamo entrambi selezionati per i Giochi del Com­mon­wealth. Dopo la prova in linea è rimasto senza dirmi il perché e il giorno della crono me lo sono trovato dietro, alla guida dell’ammiraglia. Si sporgeva dal finestrino e urlava per incitarmi. Il primo ricordo che ho di lui risale agli Islands Games, aveva sedici anni. Mi chiesero di tirargli la volata, per me era un signor nessuno. Lo cercai sotto il mio braccio, a destra, a sinistra. Non c’era, poi spuntò da chissà dove e vin­se. Quel giorno ho capito tutto».
Oggi Mark Cavendish vive in Italia. Ma nel profondo è rimasto sempre l’amico di Dools, l’allievo di  Mike, il ragazzo di Geoff, un talento impetuoso come il mare della sua isola.

da tuttoBICI di agosto
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