| 26/06/2011 | 08:18 Lo chiamano “Ferro” e all’ultimo Giro d’Italia ha dimostrato di essere un duro. Roberto Ferrari è infatti uno dei pochissimi velocisti che è riuscito a portare a termine la corsa rosa. Ventottenne, bresciano di Gavardo, al quinto anno da professionista, indossa la maglia della Androni Cipi, vanta otto vittorie. Un voto al tuo Giro 2011? «6 e mezzo perché speravo di imbroccare una tappa. Mi devo accontentare dei tanti piazzamenti raccolti, anche se un successo sarebbe valso più del 4° posto di Parma messo assieme al 3° di Fiuggi, al 5° di Tropea, al 4° di Teramo e al 4° di Ravenna». Però sei arrivato a Milano... «Sì, ma è stata dura sia fisicamente che di testa. Finite le tappe per noi uomini veloci non è stato facile trovare le motivazioni per non mollare. Fare gruppetto tutti i giorni non è esaltante, ma per un corridore italiano è importante onorare il Giro fino alla fine». Cosa non dimenticherai della tua prima volta al Giro? «Il pubblico sulle salite. Gli incitamenti che non mancano neanche per noi velocisti che arriviamo a mezz’ora dai primi, la gente che non hai mai visto prima che urla il tuo nome... Allucinante». Cos’altro ti ha colpito? «L’eco della corsa rosa. Ogni cosa che si fa qui risuona a livelli spropositati. Se vinci una qualsiasi gara di un giorno in Italia vale fino a un certo punto, ma se qui ottieni un quinto posto in un attimo sei “il velocista emergente“ del momento. Oltre a questo, mi rimarrà impressa la tanta fatica fatta». Quando hai iniziato a correre? «Da G1 nella UC Soprazzocco di cui faceva parte papà, appassionato di due ruote da sempre. Da piccolino ero un “mostro“, vincevo quasi tutte le domeniche, ma il bello era stare con gli amichetti, giocare in sella per ore». Il momento più importante della tua carriera a oggi? «La vittoria al Memorial Pantani, il mio primo vero e proprio centro da professionista. Da dilettante avevo vinto tanto, nel 2007 è arrivato il passaggio nella massima categoria e dopo tre anni il primo successo importante». Che tipo sei? «Sono uno tranquillo tranquillo. Non vivo solo per il ciclismo, amo stare con la mia famiglia e passare il tempo con gli amici». Dove abiti? «A Soprazzocco con la mia compagna Francesca e Mattia, il nostro campione di un anno e mezzo. Un bell’uragano. Quando sono a casa ho il mio da fare, ma i nonni ci aiutano tanto». In cosa sei diplomato? «In agraria». Credente? «No. Sono convinto che ci sia qualcosa di più grande di noi, che non si può spiegare, ma non mi riconosco in nessuna religione». E parlando di politica? «Sono decisamente di sinistra, per questo sono sempre in conflitto con il mio compagno di squadra Giairo Ermeti (sorride, ndr)». Chi ti supporta nel tuo lavoro? «Papà Sergio e mamma Laura (Roberto ha anche un fratello di tre anni più grande di lui, Mauro, che ha corso fino a dilettante). La mia morosa invece quasi lo odia. Non sa nemmeno come funzioni una bici, quindi fa fatica a capire i sacrifici che comporta la vita da corridore». Da quando sei diventato papà è cambiato il tuo rapporto con il ciclismo? «Molto e in meglio. Quando ho saputo che Francesca era incinta, il giorno dopo ho vinto il Pantani. Ora nel mio lavoro sono più prudente: metto il casco anche quando esco a fare una sgambata, cosa che prima succedeva raramente. E sono più professionale: il ciclismo prima fa era solo divertimento, ora oltre che passione è il lavoro che mi permette di mantenere la mia famiglia». Il collega più simpatico? «Non saprei». Il più forte? «In assoluto Contador. In volata al momento Cavendish». Il più intelligente? «Per saperlo dovremmo sottoporre il gruppo a un test intellettivo». Quello con l’acconciatura più bella? «Beh, era Franco Pellizzotti. » Quello con cui di solito dividi la camera? «Ermeti». Cosa rappresenta per te la volata? «Pura adrenalina» Cosa pensi ai meno 5 dall’arrivo? «Che devo stare il più avanti possibile». E al triangolo rosso? «Spero di essere alla ruota giusta». Ai 200 metri dal traguardo? «È ora di partire, speriamo le gambe reggano». La volata ideale? «Petacchi parte lungo e lo infilo agli ultimi 50 metri, proprio da “bastardo”. Che goduria sarebbe!». Se hai vinto, tagliato il traguardo, qual è il tuo primo pensiero? «È un’emozione inspiegabile, bellissima. Penso che quando tornerò a casa si farà festa, che riceverò tante telefonate di complimenti, che si rifaranno vivi amici che non sentivo da anni». E se hai perso? «Che ho sprecato l’occasione».
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