
Il Giro del 1960. Il primo, dopo la guerra, senza Fausto Coppi. Prima tappa: Roma-Napoli, 212 chilometri, volata, Dino Bruni, ferrarese, su Arrigo Padovan, veneto. E Bruni in maglia rosa. Il giorno dopo c’è la Sorrento-Sorrento, 25 chilometri, a cronometro. Romeo Venturelli parte davanti a Nino Defilippis. "Ti prendo", lo minaccia Defilippis, che ha il senso dell'umorismo, ma non in questo momento. Sarà anche per quella provocazione, però Venturelli vola. Bisogna conoscerlo, Venturelli: ha 21 anni, è modenese di montagna, che poi montagna non è, ma collina, Appennino, è nato a Sassostorno di Lama Mocogno, quattro case, più pecore che umani, e forse anche per questo l’etichetta di pastorello non gliela toglierà più nessuno.
a tomba aperta — Una forza della natura, il Meo, come lo chiamano tutti. Talento naturale. Se n’è accorto anche Fausto Coppi, che l’ha voluto nella San Pellegrino: lui, Coppi, capitano, con Gino Bartali direttore sportivo, e il Meo da tirare su. Poi, però, il 2 gennaio 1960, Coppi muore di malaria e Venturelli si trova senza guida. Con Coppi c’era intesa, con Bartali no. Quella di Sorrento è una crono strana, particolare: su e giù dal Monte Faito, 13 chilometri di salita, dura, a tornanti, nel bosco, e 12 di discesa, curve a gomito, tratti in pavè, a tomba aperta. A metà salita Meo accusa 15 secondi di ritardo da Anquetil. In cima, a quota 465 metri, i secondi diventano 36. Anquetil, già al traguardo, viene chiamato sul podio. Danno per scontata la sua vittoria, il suo trionfo. Gli consegnano la maglia rosa. Le miss lo baciano. Ma la storia è un’altra, e si fa in discesa. Meo si getta, si lancia, sfiora, rischia. E vince. Lo speaker, Proserpio, declama: "Venturelli miglior tempo". Sei secondi meno di Anquetil, 54 meno di Carlesi. Media: 38,427 all'ora. La maglia rosa è sua. Bartali si fa largo, cattura Meo, lo trascina sulla scaletta che porta al palco, e alla gloria.
ore piccole — "Venturelli - scrive Bruno Raschi - era un campione naturale che, in potenza, per virtù innate, sarebbe stato capace di qualsiasi impresa. Ma in bicicletta, ahimé, mentiva per la gola. In quel Giro d’Italia, veloce allegoria del suo destino, Romeo Venturelli nacque, visse e sparì nel giro di pochi giorni. Anquetil ebbe il tempo di conoscerlo e di spaventarsene. Il gusto di batterlo non lo provò nemmeno, perché Venturelli s’incenerì da solo". Infatti. La sera, a Sorrento, Venturelli celebra, festeggia, esagera. Ore piccole, piccolissime. Qualcuno dirà di averlo visto addirittura a Pavullo, nel Modenese, a bere con gli amici. Comunque il giorno dopo, terza tappa, Sorrento-Campobasso, 186 chilometri con il Terminillo, Meo è lì: stanco ancora prima di cominciare. Ha mischiato lo champagne con una limonata: "Nello stomaco - confesserà - mi si è fatto il formaggio". Neanche il tempo di godersela, la maglia rosa. L’ultimo ad abbandonare il capitano è Nunzio Pellicciari, un contadino ossuto, con il senso della famiglia, dunque del dovere, dunque gregario.
Marco Pastonesi