Il fatto non costituisce reato. Con la sentenza di assoluzione del tribunale di Pordenone, giovedì si è conclusa l’emblematica vicenda giudiziaria riguardante Christian Murro, 32 anni, cominciata con un fulmine a ciel sereno nel 2008.
L’ex ciclista professionista di Valeriano di Pinzano al Tagliamento, all’epoca tesserato per la Lampre ovvero la più forte squadra italiana, nel giugno di due anni fa ricevette la notificazione della positività a un controllo antidoping cui era stato sottoposto nel gennaio precedente al Tour Down Under, corsa a tappe australiana.
Immediata la sospensione dall’attività da parte della Lampre. Nell’ottobre 2008 il Coni squalificò Murro per due anni e la Lampre lo licenziò. Il ciclista friulano, che a luglio 2008 era diventato padre di due gemelli, si rivolse al Tas. Il Tribunale arbitrale dello sport nella primavera 2009 gli ridusse la squalifica di cinque mesi e mezzo.
«Mi allenai fino a settembre 2009 nella speranza di rientrare nelle corse, ma quando mi apparve chiaro che nessun team era interessato a me, con moglie e due figli piccoli, ho abbandonato i miei propositi e sono andato a lavorare - spiega Murro, ora gestore di un negozio di biciclette a Fagagna - . Dopo la sentenza di assoluzione della giustizia ordinaria spero che la mia immagine esca del tutto pulita: il ciclismo è la mia vita, desidero che continui ad esserlo, anche se non più dal punto di vista agonistico, ma in un’altra veste. Questa vicenda mi fa infuriare perché la mia carriera è stata rovinata. Ero all’apice e avrei potuto gareggiare per altri 5-6 anni. È un peccato perché la vita di un atleta è breve e una squalifica di due anni mi ha costretto a smettere».
Dopo le vicende controverse, pur nella loro sostanziale diversità, delle quali sono rimasti vittima Annalisa Cucinotta, Gianni Da Ros e Franco Pellizotti, il caso della tardiva riabilitazione di Christian Murro getta nuove ombre sulla procura nazionale antidoping.
«Il Coni giudica in base a pregiudizi - attacca Murro - . Se uno parte con l’idea che nel ciclismo sono tutti dopati, non può esserci obiettività nel giudizio. Mi sono sempre proclamato innocente, dopo il Tour Down Under sono stato sottoposto a una quindicina di controlli antidoping con prelievi di sangue, di urina e combinati, a casa, in ritiro e alle corse, risultando sempre pulito, ma i procuratori Plotino e Torri non mi chiedevano altro che di fare altri nomi. Ora valuterò se intentare un’azione legale contro il Coni con richiesta di risarcimento danni».
Murro era stato accusato in sede penale di frode sportiva e ricettazione. Secondo il capo di imputazione, il ciclista di Valeriano (di origine lombarda) avrebbe assunto furosemide, una sostanza proibita in quanto “coprente”, usata in particolare per mascherare il testosterone esogeno. Murro ha sempre sostenuto di avere ingerito la sostanza probabilmente bevendo una tisana sulla cui confezione non era elencato l’ingrediente proibito. Una versione confermata anche dalla moglie, che ha testimoniato nel processo celebrato davanti al giudice monocratico di Pordenone Monica Biasutti.
da il Messaggero Veneto a firma Giacinto Bevilacqua